Recensione: Shadows of the Sun
All’alba senza tempo, in un luogo senza centro, si inscrive un cerchio dalla luce fioca e lontana, un sole inappagabile che fa ombra sulle nostre pene.
‘The sun is far away/It goes in circles/Someone dies/Someone lives/In pain’
Così si apre il nono album in studio degli Ulver, probabilmente uno dei lavori più intimi ed evocativi della band. Utilizzerei il termine ‘atmosferico’ per descrivere questo viaggio senza meta apparente, che disegna la sua via con cerchi sulla sabbia, tanto evidenti quanto vulnerabili al soffiare del vento delle anime; atmosferico è un aggettivo non troppo indicato forse per caratterizzare un CD, eppure come si adatta bene a questo lavoro, così pieno di luce e ombre, caldo e freddo, continue escursioni termiche del cuore. Premete play e chiudete gli occhi…
Ci si sente immersi in un piccolo rifugio fetale in cui è custodita ogni emozione, ogni nostro turbamento; una voce riscalda questo nascondiglio ma non è per nulla invadente, quasi una voce ‘mantrica’, una guida nel buio di questo sole spento.
‘It’s burning/Into the thin air/Of the nature/Of a culture/On the dark side/Under the moon/The wolves gather’
Il Sole sta proprio lì, a metà tra la notte ed il giorno, sotto ad una Luna, richiamo dei nostri sogni, dei nostri incubi. Ma l’alba ormai incombe ed avvolge i nostri sensi, mettendoli al sicuro dalle ombre del silenzio. Così si ridesta anche l’amore, cantato in ‘All The Love’ come l’unica cosa che ci rende umani (The only thing/That makes us human). Ed è così che l’atmosfera ancestrale della prima traccia viene leggermente animata nel brano successivo che questa volta viene accompagnato dal ritmo lento e cadenzato di percussioni che sembrano il rumore di passi pesanti di un misantropo alla ricerca del Nirvana.
Segue poi ‘Like Music’, che sembra quasi stonare nel complesso dell’album; pare infatti che la voce principale, finora guida di questo viaggio senza tempo, si trovi adesso a rincorrere le note di un piano che con delicatezza solleva i veli dell’inconscio e ci lascia nudi.
‘I want you/To tell me/Who you are/In your dreams/Who is there/And is it beautiful/Like music’
Possiamo noi essere belli quanto la musica? Forse nei sogni c’è qualcosa di noi che non traspare nella realtà; e proprio in quel che vi è di nascosto dobbiamo credere, perché quello che nasce dal di dentro è ciò che viene toccato dalla musica stessa.
‘Do you know/If it is a word/Is it love/Does it hurt/Deep inside/Like music’
Dopo questa breve sosta nel giardino un po’ sognante del nostro Io, il brano recupera nuovamente un’atmosfera più grottesca, simile a quella dei brani precedenti. Segue ‘Vigil’, uno dei brani più emotivamente pesanti dell’album, non tanto per la parte musicale che vi si sviluppa, quanto per il testo, che si rivolge direttamente a coloro che non risiedono più su questa terra, invitandoci ad accendere una candela, in attesa di raggiungerli a nostra volta, rinascendo in un fiore.
‘We will follow/When time comes/To pray for life/To begin again/A flower/Will open/On the grave’
Una voce inizia con un sussurro ad immergerci in questo momento di ricordo, quest’intima veglia; l’elettronica comincia a farsi sentire un po’ di più, il piano si confonde con tastiere e suoni più digitali; a contornarli dei violini che incalzano sempre più e sui quali si appoggia la voce, a mano a mano più distorta e sempre più confusa con la melodia. Si aggiungono ancora voci, un coro, che sfocia infine in un noise che dura fino alla fine del brano, una sorta di lungo pianto sofferto, destinato a durare in eterno. Il nostro cammino sembra portarci sempre più in alto fisicamente e sempre più all’interno nella nostra anima.
Le atmosfere di ‘Shadows of the Sun’ evocano immagini a metà tra una preghiera in un tempio tibetato ed un’intima notte di pioggia immersa in pensieri nostalgici. Cori avvolgono il nostro riflettere e delle percussioni rimbalzano i nostri pensieri di qua e di là; un piano entra con passo felpato nella nostra mente e ci osserva.
‘In the night/Close your eyes/And see the stars/The shadows/And tremors/Of the sun’
‘Shadow of The Sun’, title track dell’album, rappresenta un po’ lo spartiacque tra le due parti principali in cui l’album è diviso, una più chiara e una più oscura. Da questo momento in poi infatti le canzoni acquisiranno un’aura sempre più cupa. Siamo nel tramonto, fisico e mentale; lo vediamo con gli occhi della mente, con gli occhi di un’anima che non vede più il suo scopo, ma che si rende conto della sua fine mortale.
‘And the end/Begins/When innocence dies/In their eyes/Asking us why/Must they die’
E così che ‘Let The Children Go’ diventa una danza tribale verso la liberazione dalle nostre paure; ritmi africani irrompono in una notte piena di angeli nascosti in sembianze di demoni. Ma a nulla vale ribellarsi al nostro destino. La reinterpretazione della cover dei Black Sabbath, ‘Solitude’, ci riconduce infatti alla nostra eterna condizione di anime sole e abbandonate da un amore che non si può soddisfare.
‘The world is a lonely place, you’re on your own/Guess I will go home, sit down and moan/Crying and thinking is all that I do/Memories I have remind me of you’
Tuttavia non c’è rabbia in questa solitudine, solo un’amara consapevolezza; i toni del brano sono infatti calmi, cadenzati e ripetitivi, colorati solo da un lieve strumento a fiato che dona un’atmosfera malinconica alla canzone.
Questo misantropico viaggio ascetico sta giungendo ormai alla fine e le emozioni sono sempre più cupe; non sembra esserci alcun apice luminoso all’orizzonte. ‘Funebrae’ non dà infatti speranza alcuna di una possibile salvezza. Il piano incombe sempre più forte ed il resto della componente strumentale è sempre più indistinta e slegata: suoni elettronici, lamenti e cori, sembrano condurci nella nostra stessa marcia funeraria.
Posti infine di fronte al nostro stesso spettro non possiamo fare altro che domandarci ‘What Happened?’ con un senso di definitiva rassegnazione, avvolti per l’ultima volta dai violini, unici superstiti di un viaggio doloroso per sfuggire ad un mondo in cui sembra non ci sia abbastanza posto.
‘Shadows of the Sun’ è un album difficile. Ha bisogno del momento giusto per essere vissuto e non può lasciare indifferenti. Ammetto di sentirmi prosciugata emotivamente dopo aver finito l’ascolto di questo album. Gli Ulver hanno dimostrato nella loro lunga carriera di essere capaci di trasmettere qualsiasi tipo di emozione, avendo una formidabile padronanza tecnica e compositiva; ma penso di potermi sbilanciare nel dire che questo è uno dei loro migliori album.
Sinceramente emotivo