Recensione: Shards Of Silver Fade
In realtà ho scoperto i Midnight Odyssey grazie a youtube, reo di avermi suggerito un mese fa il primo parto di questa (one man) band, Funerals from the astral Sphere. Ad attrarre l’attenzione fu una copertina in pieno stile space black psychedelico (esiste?) con tanto di teschio al centro, in pratica un incrocio tra gli artwork dei Nachtmystium e dei Wintersun. Oltre a ciò, la durata dell’opera ammontava a oltre due ore. Cosa aspettarsi? A tutta prima avevo pensato ad una compilation di black atmosferico, solo successivamente scoprii che Midnight Odyssey è un progetto australiano detenuto al 100% da Dis Pater, uomo di rara attività. Avviata la sua creatura nel 2007, il nostro ha rapidamente dato alle stampe due „demo“ (rispettivamente 39 e 69 minuti), seguiti nel 2012 dal primo disco“vero“, laddove vero significa doppio, Funerals from the astral Sphere appunto. A questo si sono aggiunti 3 split nei 3 anni successivi. A giugno 2015 infine è uscito il secondo doppio album, Shards of Silver Fade, di cui infine qui mi occuperò.
Già da un rapido sguardo alla tracklist si intuisce che Dis Pater ama le cose in grande. 143 minuti di musica, cose da far impallidire il peggiore dei gruppi progressive. Ciò non bastasse, queste due ore e mezza sono distribuiti su sole 8 canzoni. A dispetto di un formato in grado di intimidire chiunque, ad ogni modo, le lodi alla Midnight Odyssey fioccano come le ammonizioni nelle partite commentate da Pizzul. E alla prova degli ascolti c’è da dire che se la merita.
Non si tratta di qualcosa di innovativo, o comunque suonato da dio, agghindato con una produzione cristallina, iperpompato et sic fiat secula seculorum. Si tratta in realtà di un black metal atmosferico, gelido e vagamente spaziale, che ricorda una versione più old school, meno futurista, ma altresì molto più varia dei nostri Progenie Terrestre Pura. Con un songwriting di livello spaventoso. L’attacco di From a Frozen Wasteland è già una mazzata, un inno alla notte di quattro minuti con tastiere eteree e una strofa in clean semplice e micidiale, un biglietto da visita che il 90% del black mondiale vorrebbe avere. Il disco da lì si dipana, prende quota, si trascina avanti tra riff e growl da una parte e lunghi stacchi di pura melodia. Se tutto questo da un lato mettono in luce la bravura, la quasi perfezione nel songwriting di Midnight Odyssey, dall’altro punta il dito contro quello che è il vero limite non tanto del progetto, quanto di questo disco. Non è tanto l’effettiva mancanza di originalità. Il problema è che 143 minuti divisi in 8 composizioni sono sfibranti. A tratti pare che questo disco non finisca mai. E se il songwriting è eccelso, la composizione effettiva a tratti sembra piuttosto approssimativa nel momento di passare da un movimento sonoro all’altro, pur restando all’interno della stessa composizione. Quasi che il nostro, qua e là, abbia incastrato a viva forza le varie parti ora tristi, ora allegre, ora spaziali, ora trucide. Ci si trova a girar come trottole, vittime di una minestra gustosissima, ma leggermente pesante.
In tal senso il confronto col primo album del nostro mette in evidenza solo questo limite. Funerals from the astral Sphere, 20 minuti più breve ma diviso in ben 16 capitoli, scorre più fluido, più godibile. Ciò non toglie che anche questo Shards of silver Fade si riveli un mezzo capolavoro, e soprattutto un lavoro della madonna per lo sforzo necessario a metterlo insieme. Una perla per collezionisti, confezionata da un artigiano con un futuro radioso – sperando che in questo futuro radioso trattenga un po’ la sua esplosiva creatività.