Recensione: Shark Attack (Reissue 2021)

Di Roberto Castellucci - 30 Marzo 2021 - 8:30
Shark Attack (Reissue 2021)
Band: Wehrmacht
Etichetta: Hammerheart
Genere: Thrash 
Anno: 2021
Nazione:
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67

La sensibilità del metallaro è piuttosto “elastica”. Il metal kid non si offende davanti a monicker come Anal Cunt o Dying Fetus, né si scompone particolarmente quando legge il titolo della canzone “Addicted To Vaginal Skin” dei Cannibal Corpse, ovviamente dopo aver dato un’occhiata interessata e divertita alla copertina dell’album di appartenenza, il delicatissimo “Tomb Of The Mutilated”. Accetta di buon grado volgarità anche peggiori perché affronta con onestà un bisogno innato in ogni essere umano: la necessità di sfogarsi. Spararsi nelle orecchie sonorità estreme equivale a far uscire dalle casse dello stereo tutta la rabbia e le frustrazioni accumulate nel mondo reale, in una perfetta dimostrazione della teoria della catarsi, spesso definita aristotelica proprio perché esposta dal filosofo greco antico Aristotele in alcuni suoi celebri testi. Catarsi significa purificazione: in particolare nell’opera intitolata Politica il filosofo accenna a quelle anime che, colpite con forza da emozioni potenti come pietà, paura od entusiasmo, ritornano ad uno stato di normalità grazie all’effetto “delle melodie sacre”, come se ricevessero “una cura o una purificazione”. Immagino che qualche lettore curioso abbia appena provato una sensazione familiare, riassumibile con la frase “a me succede sempre quando ascolto la mia musica preferita”. Effettivamente succede a molte persone da molto tempo, ed è anche grazie a questo potere liberatorio che il Metal sopravvive alle epoche, rinnovandosi continuamente pur rimanendo sempre un genere di nicchia, estremo e irriverente. Succedeva anche nei primi anni ’80 del secolo scorso: il Thrash Metal, uscito fuori dal calderone ribollente di Heavy Metal, Punk e Hardcore, inasprisce le sonorità tipiche degli stili da cui trae ispirazione per diventare una delle principali fonti di catarsi per i kids di mezzo mondo. Le estremizzazioni sonore del Thrash non tardano a influenzare i testi delle canzoni e l’estetica dei dischi; persino l’inossidabile Satana viene messo un po’ in disparte, soppiantato da tematiche più mature, immagini disturbanti di sanguigna violenza e in generale da contenuti usati talvolta come veicolo per esprimere denuncia sociale, talvolta come mezzo puramente provocatorio. Il fondamentale “Reign In Blood” degli Slayer, datato 1986, alza l’asticella della provocazione mettendo in prima posizione il brano “Angel Of Death”, il cui testo è incentrato sulla figura del tristemente noto criminale di guerra Josef Mengele, nazista passato alla storia per i crudeli esperimenti medici di cui si rese responsabile ad Auschwitz. Poco importa che Mengele venga descritto come “sadico, rancido, infame macellaio”: la canzone ottiene l’obiettivo di scandalizzare l’opinione pubblica e contribuisce a conferire agli Slayer un’aura talmente maligna da far schizzare alle stelle le vendite del disco, facendo quasi passare in secondo piano le scelleratezze stipate in brani come “Piece By Piece” o “Necrophobic”. A questo punto qualcuno si sarà chiesto: come alzare ulteriormente il livello di trasgressione? Una delle risposte più convincenti in questo senso arriva nel 1987, anno in cui viene dato alle stampe “Shark Attack”, primo full-length degli allora giovanissimi Wehrmacht. Esatto, si tratta proprio del nome assunto dalle Forze Armate tedesche durante la Seconda Guerra Mondiale, con buona pace di certi recensori del Web che, alla spasmodica ricerca di scappatoie, sostengono come la parola in questo caso si debba leggere VARE-MOCKT, una locuzione scritta in una lingua misteriosa la cui traduzione dovrebbe essere “macchina da guerra”. Accontentiamoci dei fatti: se il nome del gruppo è esattamente quello che si vede scritto sulla copertina del disco, è altrettanto vero che non si riesce a trovare nei testi un singolo momento in cui i Wehrmacht tentino di fare revisionismi storici o apologie del nazismo, pur dedicando l’album alle molteplici declinazioni del politicamente scorretto; ora che abbiamo tolto il dente più doloroso possiamo divertirci a snocciolare alcune delle tematiche principali affrontate in “Shark Attack”. L’horror viene celebrato in “Crazy Ways People Die”, brano dal testo ricco di efferatezze, nella traccia “Part II”, in cui si fa riferimento al film Halloween II del 1981, e nella title-track, introdotta dalla riproduzione di alcune note estratte dal film Lo Squalo del 1975. La citazione riprende il proverbiale motivetto che preannuncia un imminente assalto da parte del predatore marino, giustificando in un colpo solo il titolo del disco e l’illustrazione di copertina. Il caricaturale artwork mostra un metallaro/zombi impegnato in una sessione di sci nautico sul dorso di una coppia di squali, intento a lanciarsi all’attacco dei benpensanti con un arsenale particolare: un fucile squaliforme e, al posto delle granate, minacciose lattine di birra conservate in una favolosa cartucciera porta-birra (il mio prossimo gadget must-buy, tra l’altro).

La bevanda più amata da ogni metallaro è il tema principale di “United Shoe Bros.”: il brano, nella re-issue del 2021 oggetto di questo articolo, è seguito dalla breve bonus track “Concrete Meat” e dalla traccia “Puke”, che ci racconta con piglio documentaristico cosa succede quando la birra ingurgitata inizia ad essere troppa, presentando senza censure la registrazione dal vivo dei conati di vomito prodotti quasi certamente da uno dei componenti della band. Aggiungiamo al piatto già ricco le spacconate da tombeurs de femmes della soave “S.O.P.” (Same Old Pussy), indici di un’evidente e cronica mancanza dell’altra metà del cielo nella vita dei 5 ragazzotti originari di Portland, e gli sberleffi indirizzati ai grandi nomi della scena Metal degli anni ’80 in “B.O.S. (Barrage of Skankers)”. I Wehrmacht non sembrano mai perdere il buonumore anche quando toccano temi più profondi: l’antimilitarismo di “Napalm Shower” e la critica al sistema capitalistico cantata in “Go Home” si sommano al brano “Anti”, il cui testo profetico sembra descrivere alla perfezione gli odierni leoni da tastiera. La canzone deride infatti coloro che, credendosi superiori a tutto e a tutti, finiscono per trasformarsi in semplici detrattori professionisti senza avere nulla di veramente importante da dire. Ogni riferimento ai musicisti che distribuiscono sentenze gratuite e non richieste dall’alto del loro palco è puramente voluto…i Wehrmacht, insomma, non le mandano certo a dire, forti di un’impertinenza amplificata dalla giovane età. Se le informazioni rintracciabili nel Web sono attendibili tutti i membri della band, al momento della pubblicazione di “Shark Attack”, raggiungevano a stento i 19 anni, il che spiega praticamente tutto ciò che troviamo nel disco: birra, parolacce, maschilismo esasperato, film horror,…ma la musica? Dopo aver dribblato la questione dello spigoloso monicker e aver elencato i contenuti provocatori rimane da descrivere l’elemento più importante, quello che spingerà i Napalm Death ad estrarre da “Biermacht”, secondo album dei Wehrmacht, una canzone per il loro album di coverLeaders Not Followers Part 2” del 2004. Uno degli aspetti che emerge fin da subito è la voce di Tito Matos, il cui stile ricorda molto da vicino il cantato “pulito” di Roger Miret degli Agnostic Front, storica band Hardcore di New York; musicalmente parlando inoltre le sonorità di “Shark Attack” rimandano in più di un’occasione proprio a “Cause For Alarm”, secondo album degli hardcorers newyorchesi pubblicato nel 1986, spesso riconosciuto fra i dischi capostipiti del cosiddetto Crossover Thrash. Non a caso i Wehrmacht vengono annoverati in questo sottogenere, nato per identificare in qualche modo la musica a metà strada tra il Thrash Metal e l’Hardcore proposta da gruppi come Cryptic Slaughter e The Accüsed, tanto per citare un altro paio di combo protagonisti della scena. L’esagerata velocità di esecuzione dei brani è l’altra caratteristica distintiva di “Shark Attack”: si tratta di un aspetto comune a quasi tutti i gruppi appartenenti al genere, tuttavia nel caso dei Wehrmacht la quantità di BPM arriva a livelli talmente parossistici da far sembrare fiacco quasi tutto il Metal pubblicato fino a quel momento. Brani frenetici come “Blow You Away”, “Jabberjaw” e “Termination” fanno impallidire esempi di rapidità musicale come l’indiavolato “Speak English Or Die” degli Stormtroopers Of Death (S.O.D.), opera seminale per il Crossover Thrash datata 1985 e che sembra aver influenzato parecchio l’estremismo sonoro e l’attitudine goliardica dei Wehrmacht. Il pensiero vola anche all’immortale “Fast As A Shark”, grande classico degli Accept, in cui la presenza contemporanea di squali e velocità lascia pensare che i Wehrmacht abbiano più volte ascoltato la prima traccia di “Restless And Wild” prima di scrivere il loro album di debutto. Nonostante la giovane età e la poca esperienza va comunque riconosciuta una certa abilità tecnica ai Wehrmacht: imbattersi nel brano strumentale “Fretboard Gymnastics”, lungo quasi 6 minuti, sorprenderà tutti coloro che vedono nella velocità di esecuzione uno stratagemma per nascondere le carenze tecniche.

In buona sostanza siamo di fronte a un debutto al fulmicotone nel vero senso della parola, in cui i riff e le melodie, seppur presenti, sembrano perdere rilevanza davanti al bisogno di esasperare le sonorità prodotte fino a quel momento in ambito Hardcore/Metal, consolidando un percorso di estremizzazione già iniziato da gruppi proto-grind come i Repulsion e che di lì a poco porterà al primo disco dei Napalm Death, “Scum”, pietra miliare Grindcore pubblicata un paio di mesi dopo il nostro “Shark Attack”. In conclusione, il primo disco dei Wehrmacht è fortemente consigliato a tutti coloro che riescono a ritrovare la pace interiore soltanto grazie all’effetto catartico prodotto da un’abbondante dose di parti ritmiche in blast-beat, meglio ancora se valorizzate da una produzione musicale grezza al punto giusto. Non mancherà nemmeno chi, dopo un primo ascolto, metterà da parte il disco pensando di aver ascoltato un prodotto musicale figlio della sua epoca e ormai un po’ invecchiato, ma stiamo attenti: “Shark Attack” può sembrare “già sentito” proprio perché siamo di fronte a una delle prime e più veraci incarnazioni del Metal estremo, senza la quale mi piace pensare che il Death Metal, il Grindcore e soprattutto la seconda ondata del Black Metal avrebbero preso strade differenti durante i ruggenti anni ‘90. Riconosciamo pertanto ai Wehrmacht il grande pregio di aver contribuito a plasmare la Nostra Musica preferita, tributandogli il rispetto che meritano: con una mano alziamo il volume e con l’altra solleviamo un calice della nostra birra Lager preferita…buon ascolto a tutti!

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