Recensione: She

Di Riccardo Angelini - 22 Marzo 2008 - 0:00
She
Band: Caamora
Etichetta:
Genere: Prog Rock 
Anno: 2008
Nazione:
Scopri tutti i dettagli dell'album
80

‘She’ – The epic story of love adventure and immortality

Questa volta l’ha combinata grossa. Del resto era noto già da tempo: quando Clive Nolan ha dato vita ai Caamora, non l’ha certo fatto per trasformarli in un mero side-project. E se Arena e Pendragon sono passati in secondo piano nel corso degli ultimi tre anni, è stato per una ragione ben precisa. Ma andiamo con ordine e cominciamo dal principio.

Febbraio 2005: un incontro fortuito, una cena fra amici e Nolan fa la conoscenza della cantante polacca Agnieszka Swita. Passano poche settimane e Agnieszka diventa la musa ispiratrice – oltre che l’attrice principale – del nuovo progetto di Clive. Titolo e soggetto sono forniti da un celebre romanzo dello scrittore vittoriano Henry Ridger Haggard: “She” – “La donna eterna”, nell’edizione italiana. Un’idea ambiziosa, in bilico tra rock opera e musical progressive, un polo magnetico che trascina a sé svariati nomi di spicco della scena neo-prog britannica. La gestazione è lunga e laboriosa: il progetto finisce per coinvolgere una quarantina di elementi, dall’Inghilterra alla Polonia, molti dei quali si trovano a suonare assieme per la prima volta. Dopo due anni e mezzo, tre EP e un’intensa attività live, il grande disegno giunge infine a compimento. Il 31 ottobre 2007 il pubblico del Wyspianski Theatre di Katowice saluta con entusiasmo la prima ufficiale di “She”: l’esibizione viene registrata ed entrerà a far parte di un DVD nell’edizione limitata del (doppio) album in uscita pochi mesi più tardi. Il che ci porta dritti al presente.

Quello che abbiamo fra le mani, sarà ormai palese a chiunque, non è un semplice (si fa per dire, naturalmente) album progressive; la confezione stessa parla chiaro. Inutile specificare che l’attenzione e la cura del dettaglio dedicate alle molteplici edizioni di “She” denotano da parte di Nolan una meticolosità a dir poco forsennata. L’album è stato pubblicato in ben quattro formati differenti: doppio CD in jewel case, doppio CD digipak con tracce bonus, triplo vinile con tracce bonus e, dulcis in fundo, box-set contenente la bellezza di sei dischi: il doppio CD da studio, il doppio CD live, il relativo DVD (con documentario annesso) e un ulteriore DVD extra contente sei tracce acustiche e un’intervista alla band. “Definitive Edition” nel vero senso della parola – e ci auguriamo che quelle etichette avvezze a infinocchiare i collezionisti con sedicenti edizioni speciali distribuite a un anno di distanza da quella regolare con un paio di bonus track dal vivo in croce siano in ascolto. L’artwork stesso colpisce nel segno, restituendo a livello visivo l’aura calda e solenne che avvolge l’opera nel suo complesso. Ma ciò che conta in primo luogo sono i contenuti musicali, ed è qui che il discorso si fa più intricato oltre che – senza dubbio – interessante.

A differenza da quel che si verifica di norma nella maggior parte delle rock opera, il cast di prime voci al soldo dei Caamora, seppur di gran qualità, è piuttosto ristretto. I solisti che si avvicendano al microfono sono soltanto quattro: oltre ai protagonisti Clive e Agnieszka compaiono infatti Alan Reed (Pallas) e Christina Booth (Magenta). Una scelta in parte forzata dalla trama dell’opera originale, che come è lecito aspettarsi condizionerà la band sotto molteplici aspetti. La penuria di voci – e il conseguente rischio di pagare lo scotto in termini di varietà sul lungo periodo – viene d’altro canto bilanciata da una prestazione di alto livello da parte di tutti gli interpreti. Sorprende in particolare la prova di Agnieszka: bastano le prime battute dell’iniziale “Overture” per trasformare la misconosciuta cantante polacca da oggetto misterioso a certezza e protagonista incontrastata dell’album tutto. Ben poco ha la sua voce da invidiare – sia per tecnica sia per doti espressive – a quelle di tante colleghe più conosciute a livello internazionale, né da quel che si è potuto vedere finora è la personalità sul palco a farle difetto. Logico dunque che le composizioni tendano a costruirsi con una certa insistenza proprio sulle melodie vocali, così come inevitabile pare l’orientamento generale del sound, dominato dalle tastiere di Nolan. La spiccata impostazione neo-progressive di base tende infatti a privilegiare ancor più del solito la componente acustico/sinfonica, a detrimento dell’elemento rock in senso stretto. Le chitarre fanno giusto in tempo a liberare qualche vibrazione elettrica sulle note iniziali di “The Storm” che già il loro ruggito è soffocato da una fitta coltre di cori e orchestrazioni, padroni incontrastati di una rock opera assai poco rock e molto, molto opera.

I brani più immediati e accattivanti trovano quasi tutti spazio nel primo disco. I sussulti prog di “The Vail”, gli enfatici crescendo di “Convent Of Faith” e soprattutto il refrain della straordinaria hit “The Bonding” denotano un talento compositivo impressionante. Senza il supporto di un rifferama abbastanza imponente da sorreggere da solo le costruzioni ritmico/melodiche, le composizioni si affidano soprattutto alla capacità di coinvolgere delle melodie e, non ultimo, alla ricchezza degli arrangiamenti, vera chiave di volta dell’opera. Basta infatti porgere brevemente orecchio alla solenne “Judgement” o alla tenue “Shadows” per restare preda del incantevole gusto melodico di Nolan, unico autore di tutti i brani così come di tutte le liriche.
La musica cambia, almeno in parte, con il secondo CD. Le canzoni rinunciano a parte della loro fruibilità in favore di un approccio ancora più teatrale, con costruzioni che si richiamano con una certa insistenza agli stilemi neo-progressive. Sulle prime, tale soluzione potrebbe apparire invero controproducente. Il disco introduttivo, della durata superiore ai sessantacinque primi, già rischiava di stordire con un’inattesa overdose orchestrale quanti anelassero una presenza più decisa da parte delle chitarre, o quantomeno una sezione ritmica maggiormente autorevole e incisiva. E se nelle battute iniziali l’ascolto era stato agevolato dalla grande fruibilità dei singoli pezzi, la scelta di proporre un’ulteriore ora di contenuti, richiedendo così un rinnovato sforzo di concentrazione da parte dell’ascoltatore, può suonare come un vero e proprio suicidio artistico. Tuttavia vanno qui considerati due fattori apparentemente secondari ma affatto decisivi. Innanzitutto, non bisogna dimenticare che la dimensione in cui “She” realizza la propria natura autentica è quella dell’esibizione live: è qui che lo spettacolo trova pieno compimento tanto dal punto di vista musciale quanto da quello visivo. Lecito concludere a riguardo che l’attenzione, traballante in un ascolto casalingo, viene fortificata dalla presenza scenica degli interpreti e dall’impostazione scenografica per molti versi prossima a quella di un musical. In secondo luogo, per quanto possa apparire banale, nulla vieta a di interrompere l’ascolto al termine del primo disco per poi riprenderlo una volta ricaricate le batterie mentali. Può essere questa la via migliore per apprezzare al meglio canzoni dense e in certa misura pesanti come “Fire Dance” o “Fire Of Life” (durata complessiva: venti minuti). Senza contare che anche la seconda sezione dell’opera sa regalare momenti di altissima intensità emotiva, di quelli che inducono all’improvviso a rialzare la testa anche nell’ascolto più distratto o sonnolento. Che dire infatti della teatrale dolcezza di “Eleventh Hour” o della drammaticità dei cori di “Sand Of Time”? Colpi di coda che rivelano una volta in più la grande sensibilità artistica di un Nolan in grandissimo spolvero.

Epperò – c’è un però – “She” non è pane per tutti i denti. Tutt’altro. Ma come, potrebbe obiettare qualcuno, non si era detto che la sua forza sta nelle melodie, nell’immediatezza espressiva? Vero, lo si è detto e lo si ribadisce. Tuttavia ciò non basta a rendere i Caamora un progetto adatto a qualsiasi pubblico. Il romanticismo delle composizioni, complice il ruolo men che secondario delle chitarre, potrebbe essere giudicato troppo stucchevole dagli amanti di sonorità più dure, e certamente qualche voce si leverà per denigrare l’ennesimo “polpettone sinfonico”. Gli estimatori della melodia, dal canto loro, potrebbero essere scoraggiati dall’elevata lunghezza dell’opera e dallo sforzo richiesto per la sua completa assimilazione. I fan del progressive in senso lato, infine, rischiano di rimanere delusi dalla pressoché totale rinuncia alla sperimentazione – e se è vero che l’originalità non è mai stata prerogativa imprescindibile della scena neo-prog, è anche vero che da parte di uno come Clive parrebbe legittimo aspettarsi qualche eccesso creativo in più.
A chi dunque è rivolta un’opera come “She”? Più che agli irriducibili del rock, più che ai puristi del progressive (esiste davvero una contraddizione in termini del genere?), “She” sembra essere dedicato a una generica platea di amanti della musica, della musica raffinata e un po’ fuori dagli schemi, agli inguaribili romantici, alla vecchia guardia della musica leggera. Gente magari cresciuta coi Procul Harum o i Moody Blues o anche, perché no, con la Electric Light Orchestra – gruppi collegati ai Caamora da un filo sottilissimo, quasi invisibile, ma sotto taluni aspetti assai saldo e robusto.

A parere di chi scrive, il progetto di Nolan può dunque considerarsi portato a termine con successo. Contrariamente a tante sedicenti rock opera prive di continuità e coesione interna, “She” riesce a valorizzare appieno la propria componente teatrale, costruendo attorno a una trama avvincente un involucro musicale del tutto appriopriato e coerente. Ciò che più conta, i momenti di stanca sono pienamente bilanciati da un ampio ventaglio di killer track, di quelle che non ogni mano è capace di scrivere. Certo, la portata delle ambizioni di Clive potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio, nella misura in cui la sua prosopopea compositiva potrebbe limitare la fruibilità dell’opera nel suo complesso sotto gli aspetti già esaminati. Il consiglio per chi volesse avvicinarsi ai Caamora è di armarsi di tempo e pazienza, per affrontare con la dovuta concentrazione l’imponente concept musical-letterario rappresentato da “She”: disco apparentemente facile, ma tale da rivelare fino in fondo le proprie virtù soltanto a chi si dedicherà all’ascolto la medesima passione che è stata impiegata nella sua creazione.

“She never dies. She just changes… that is all”

Riccardo Angelini

Musicians:

The Singers:
Ayesha – Agnieszka Swita
Leo – Clive Nolan (Arena, Pendragon)
Holly – Alan Reed (Pallas, Neo)
Ustane – Christina Booth (Magenta)

The Instrumentalists:
Guitars – Mark Westwood (Neo)
Oboe – Alaster Bentley
Horn – Mark Kane
Cello – Hugh McDowell
Keyboards and orchestrations – Clive Nolan
Basses – John Jowitt (IQ, Neo)
Drums and Percussion – Scott Higham

The Choir:
Anoushka Reynolds, Jamie Fletcher, Tina Riley, Penny Roberts, Siobhan Clarke, Agnieszka Swita, Pete Morton, Mark Westwood, Scott Higham, Clive Nolan, Daniel Holmes.


Tracklist:

Act 1:
1.Overture
2. The Storm
3. The Veil
4. Covenant of Faith
5. Rescue
6. The Cave
7. The Bonding
8. Ambush
9. Judgement
10. History
11. Confrontation
12. Vigil
13. Shadows
 
Act 2
1. Fire Dance
2. Cursed
3. Closer
4. Disbelief
5. Murder
6. Eleventh Hour
7. Resting Place
8. The Hermit (bonus track)
9. Sands of Time
10. Embrace
11. The Night Before
12. Fire of Life

Ultimi album di Caamora

Band: Caamora
Genere: Prog Rock 
Anno: 2008
80
She She
She
Band: Caamora
Genere: Prog Rock 
Anno: 2008
80