Recensione: Shovel Headed Kill Machine
Dopo l’acclamato album di reunion “Tempo of the Damned” gli Exodus tornano sulle scene con una formazione largamente rimaneggiata, che vede sciogliersi il mitico H-team, visto che alla chitarra troviamo il nuovo Lee Altus, riffmaker dei sottovalutati Heathen, al posto di Rick Hunolt, e l’ormai famosissimo Paul Bostaph dietro le pelli, uno dei pochi drummer in grado di non far rimpiangere il grandissimo Tom Hunting.
L’apertura è affidata a “Raze”, Thrash Song che unisce il tipico riffing made in Exodus a certe soluzioni che mi hanno riportato alla mente certe cose dei Pantera. È inutile negare che la curiosità e gran parte dell’attenzione vengono attratte dalla voce del nuovo, e sconosciuto, singer Rob Dukes, che mette in mostra una voce roca e cattiva, decisamente in linea con gli standard del gruppo, l’unica cosa a non avermi convinto appieno è che a volte la cattiveria appare forzata e poco naturale, ma tutto sommato si può dire che il buon vecchio Gary Holt abbia fatto una buona scelta.
Il disco decolla davvero a partire dalla seconda traccia, cioè “Deathamphetamine”, un brano che più Exodus non si può, e soprattutto con un Bostaph alla batteria davvero impressionante. Dopo un inizio lento e pesante la canzone esplode in un puro Thrash Metal letteralmente devastante, fatto di rallentamenti spezzacollo e accelerazioni violentissime.
Gli Exodus hanno ripreso quello che già aveva detto, e bene, “Tempo of the Damned” e lo hanno rielaborato e portato ad un livello addirittura più alto, riuscendo a dare quel pizzico di varietà in più al songwriting che forse era venuto leggermente a mancare al suo predecessore, basta ascoltare una canzone come “Karma’s Messenger”, che ha tutto l’appeal della tipica canzone Thrash anni ’80 ma studiata in modo da non risultare mai banale o datata, oppure “I am Abomination”, in cui il gruppo lascia da parte la pura velocità per puntare tutto sulla potenza e sull’aggressività per rendersi conto del potenziale distruttivo di questo album.
Altro punto di forza dei Thrasher di Frisco è sempre stato il lavoro intricato ma allo stesso tempo violento e fluido delle ritmiche, soprattutto delle chitarre, ed ancora una volta questo aspetto è stato curato in maniera davvero spettacolare, il nuovo duo Holt-Altus macina riff su riff su canzoni come “Shudder to Think”, pesante come un macigno, “Altered Boy”, molto groovy nel suo incedere mai troppo veloce ma dannatamente coinvolgente, “Now thy Death Day Come”, up tempo di violenza davvero indicibile, un brano che dal vivo potrebbe scatenare un pogo da inferno dantesco,grazie anche a dei cambi di tempo studiati e composti alla grande, oppure la conclusiva title track “Shovel Headed Kill Machine”, cioè furia Thrash Metal senza compromessi, in cui una volta di più la band mette in mostra tutto il suo talento in fase di songwriting.
Una nota a parte la merita “44 Magnum Opus”, vera e propria opera Thrash, in cui violenza, stacchi tanto inaspettati quanto violenti e riffing micidiale la fanno da padrone, un pezzo che a mio parere potrebbe assurgere allo status di canzone simbolo del Thrash Metal del nuovo secolo.
Oltre all’iniziale “Raze” l’unico brano a non avermi convinto del tutto è “Going Going Gone”, che mi appare piuttosto banale e scontato e, pur composto e suonato in maniera impeccabile, non in possesso della personalità necessaria a risaltare in un disco di questa portata.
È quasi inutile parlare del livello tecnico di un gruppo che annovera tra le sue file musicisti di questo calibro, per cui mi limito a dire che probabilmente allo stato attuale delle cose gli Exodus al momento sono, perlomeno tecnicamente, il miglior gruppo Thrash in circolazione.
I suoni sono di alto livello, l’unico appunto che posso muovere alla produzione è che in certi punti un po’ più di potenza avrebbe sicuramente giovato al tutto, ma è un andare a cercare il pelo nell’uovo.
Quando escono lavori di questo calibro è una sempre una gioia per chi, come me, ama certe sonorità, e fortunatamente ci sono ancora gruppi come gli Exodus che tengono alta la bandiera del genere.
Nella speranza che qualche nuova leva si faccia avanti a reclamare il trono del Thrash made in USA i “vecchietti” di Frisco rimangono ancora saldi al loro posto, e se le idee sono quelle che si possono ascoltare su “Shovel Headed Kill Machine” non sarà facile per nessuno spodestarli.