Recensione: Shrapnel Storm

Di Daniele D'Adamo - 3 Settembre 2020 - 0:01
Shrapnel Storm
Etichetta: Great Dane Records
Genere: Death 
Anno: 2020
Nazione:
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71

Secondo full-length per i Shrapnel Storm, omonimo, che doppiano a  distanza un lustro il debutto, avvenuto con “Mother War”. Tematiche di guerra nel moniker e nei titoli, quindi, significative di racconti di storie a tema; senza esaltare, ovviamente, lo spirito belligerante che ha portato alla totale annichilazione di intere popolazioni dell’Umanità, nel tempo e nello spazio. Un po’ come avviene per i Sabaton, insomma, teatrali nell’estrinsecare la loro passione per la Storia.

Come genere, o meglio sottogenere, la band è accumunata dalle note biografiche all’old school death metal. Una classificazione non conforme alla musica suonata, almeno a parere di chi scrive, poiché non sono poi tanti i rimandi formali agli anni fine ottanta/inizio novanta. Certamente non si tratta di un qualcosa che si possa definire con un termine che ne indichi un alto grado di evoluzione, tuttavia è sicuramente più appropriato appioppare ai Nostri la più semplice delle denominazioni: death metal.

C’è poco da fare, in tal senso: il suono che fuoriesce dagli speaker è moderno, attuale, in linea con i tempi, privo quasi del tutto di arcaiche riminiscenze, di improbabili richiami preistorici. Già, poiché, non intraprendendo strade progressiste, bene o male la struttura musicale del platter contiene senza dubbio un leggero flavour di antico. Ma si tratta solo di una sensazione, probabilmente dovuta alle linee vocali di Ville “Yka” Yrjola, le quali sono scevre da growling e quant’altro di particolare. Tanto polmone, esibito con tono stentoreo, lievemente aspro, per un’ugola aspra e scabra.

Contribuisce a questa percezione il lavoro delle due asce da… guerra. Tohtori Makitalo e Aki Laaksola, difatti, mettono su un muro di suono massiccio, pesante, le cui trame sono cucite da riff granitici, di chiara derivazione thrash; scevre, cioè, da sonorità cosiddette zanzarose. Una sensazione di ordine e pulizia che trova un bell’appiglio nella sezione ritmica, una sporta di rimbombo continuo alimentato, oltre che dal basso, da un drumming semplice, lineare ma possente. Anch’esso lontano sia da funambolici pattern, sia da esagerazioni cinetiche. Solidità, solidità e ancora solidità: è questo il leitmotiv che fonda “Shrapnel Storm”. In tutto e per tutto.

Senza girare a vuoto, per avere conferma di tutto ciò è sufficiente approcciare l’opener-track ‘The Burning’, micidiale attacco frontale a mò di carro armato in piena corsa, ove si può apprezzare la bontà di una produzione atta a rendere spesso un sound perfetto per le tematiche trattate. Sound che, pertanto, come mood, ha parecchi risvolti cupi, freddi, che danno davvero l’idea che l’LP srotoli le sue canzoni in un rumorosissimo campo di battaglia.

Come più su accennato, i BPM non superano mai la soglia dei blast-beats, anzi muovendosi nell’intervallo velocistico compreso fra i mid-tempo e gli up-tempo, non disdegnando di calare di intensità sino agli slow-tempo. Il che si traduce un un costante, continuo irrobustimento delle tracce. Mai indebolite da passaggi a vuoto, al contrario tutte fedeli allo stile personale del combo di Tampere. Brani che non mostrano una particolare genialità in ordine a un songwriting pure esso quadrato, corpulento, nondimeno concepito per realizzare molte ficcanti divagazioni delle chitarre soliste allo scopo i rendere ancora più rossi di sangue gli scontri narrati (‘Battle Wraith’).

In definitiva gli Shrapnel Storm non inventano sostanzialmente nulla di nuovo. I loro agiti, però, sono eseguiti molto bene, con mestiere, umiltà e, ultima ma non ultima, fedeltà alla linea.

Daniele “dani66” D’Adamo

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