Recensione: Sign of Madness

Di Abbadon - 30 Dicembre 2004 - 0:00
Sign of Madness
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Anno: 2004
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67

Arrivati quasi ai 10 anni di vita (l’esordio “Just What the Doctor Ordered” è del 1995) e dopo più di un problema a livello di line-up, probabilmente l’aspetto più precario della band, i Damned Nation arrivano a lanciare il loro quarto disco (un successo se si pensa al gran numero di artisti cambiati). Conoscevo solo un disco dei Damned Nation, proprio il già citato esordio, e non mi era dispiaciuto,  lo avevo anzi reputato un bel lavoro soprattutto per le notevoli melodie che il combo svedese riusciva a regalare, pur non rinunciando al sano Hard Rock. Poi li avevo persi di vista, per riavvicinarmi a loro grazie a questo “Sing of Madness”. Dire che ho fatto fatica a riconoscerli è un eufemismo, ma un eufemismo non deve essere per forza negativo. Ma andiamo con ordine. Il quartetto al momento è composto dal vocalist Matti Alfonzetti (chiamato a rimpiazzare il posto lasciato vacante da Thomas Thorsen), dal chitarrista e leader (presente fin dall’esordio) Robert Warnqvist, dal bassista Magnus Jonsson e da Roger Jern dietro le pelli. Come detto il nuovo stile della band risulta essere ben diverso da quello a cui ero (io ma tutti coloro che conosco i primi dischi) abituato. Meno melodie, pur presenti, ma sonorità estremamente più sporche, grezze, dure, aggressive. Questa svolta, ottenuta anche grazie a una evidente modernizzazione del sound di strumenti quali ad esempio la chitarra (capace di riff comunque gradevoli, anche se ruggenti), è da attribuire in gran parte a Tomas Skogsberg, già al servizio degli Entombed e famoso per le sue produzioni Thrash, che riesce a fondere perfettamente degli elementi che apparentemente nulla centrano l’uno con l’altro, dall’hard all’aor al thrash. Tale mix ha come summa un heavy rock di impatto immediato ma capace comunque di momenti delicati e piuttosto originali nel panorama musicale. Tipico esempio di questa via può essere subito “Stranded”, che, seguendo una intro piuttosto tranquilla ma anche pomposa, fa sprofondare tutto nell’arroganza con un attacco che sembra provenire direttamente da un album della Black Label Society (tanto per fare un esempio). Andando avanti con l’ascolto emergono però gli elementi caratterizzanti dell’hard rock, quali un refrain per nulla duro e ben ispirato, con tanto di presenza di tastiere (che nulla sembrerebbero azzeccare con le guitar, ma che invece fanno il loro bell’effetto) e di momenti di buon pathos. A questo proposito voglio criticare solo un po’ la prestazione del singer. Nulla di male per carità, visto che Alfonzetti si dimostra subito un ottimo frontman, probabilmente anche più vario del suo predecessore, solo che ogni tanto mi pare che la sua voce strida col resto del suonato. Ma in fondo sto solo mettendo i puntini sulle i. Torniamo alle song, come detto aperte (intro a parte) dalla esplicativa “Stranded”.  Non c’è solo lei a farla da padrona, visto che si dimostrano buoni brani anche la successiva, midtempata, “Wall of Illusion”, le dirette ed aggressive “Consequences” e “Bringer of Light”, dove dei bei riff (purtroppo non sempre mantenuti, soprattutto in consequences) fanno capire le capacità di Warnqvist (che peraltro si fa valere pure negli assoli). In particolare Bringer è per me la miglior song del cd, forse non la più varia ma quella che più mi ricorda l’hard’n’heavy dei bei tempi, fuso a un sonoro roco che ci sta tutt’altro che male. Due parole anche per l’esplosiva Human Sacrifice, perfetto mix di classe e straripanza, che se la gioca in definitiva con Bringer per bellezza alle mie orecchie. Qualche componimento a mio avviso sottotono, come può essere “Facing the Enemy” (decisamente piatto, nonostante sia uno dei lavori col sound più potente fra i presenti) sporca in parte un lavoro che all’inizio non riuscivo a sentire, ma che poi, con gli ascolti, ho decisamente rivalutato (anche se continua a piacermi di più “Just what…”). Credo che questo processo lo avranno tutti coloro che erano e restano abituati a sonorità cristalline, per chi invece ama il sound più duro, beh, credo che “Sign of Madness” rappresenti subito un buon piatto da gustare, spesso e pesante ma comunque discretamente vario.

Riccardo “Abbadon” Mezzera

Tracklist :
1) Innocence
2) Stranded
3) Wall of Illusion
4) Consequences
5) Bringer of Light
6) Sign of Madness
7) Facing the Enemy
8) Human Sacrifice
9) Still Alive
10) Wake Up

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Genere:
Anno: 2004
67