Recensione: Signals
Pescando dalla vasta discografia dei Rush, questo Signals è una svolta assai marcata dal suo predecessore “Moving Pictures” che aveva fatto a sua volta altrettanto. La prima era dei Rush ormai è finita, sigillata dal fantastico live “Exit…Stage Left”. Su Signals non si ritrovano le lunghe e complesse suite da sempre zoccolo duro del trio canadese, ma tutte canzoni dalla durata media (la più lunga, The Weapon arriva a 6:23 minuti), sinonimo che ormai i Rush hanno deciso di prestare le loro grandi doti ed il loro straordinario feeling alla forma-canzone, non sminuendo di certo la qualità a cui avevano abituato i loro fans. Il sound si è fatto anch’esso molto più dilatato e vellutato anche a causa dei tappeti sonori tastieristici molto più presenti rispetto a prima. Inutile dire che la prestazione dei tre è assolutamente superiore alla norma: Geddy ed Alex, appaiono molto più concentrati sulle atmosfere rispetto a prima, Neil ancora autore di fantastici testi, trova una condizione meno “nervosa” rispetto al passato dietro al suo strumento. E’ ancora per una volta l’autore di tutto il versante lirico dell’album con la sola esclusione di “Chemistry” a cui partecipano tutti. Questo nono album in studio della discografia dei Rush, sarà inoltre l’ultimo prodotto da Terry Brown, che aveva legato il suo nome alle produzione del gruppo sin dall’esordio “Rush”.
In effetti all’abbandono da parte di Terry contribuirono le numerose critiche che piovvero addosso alla band dopo la pubblicazione di quest’album, che spostava ulteriormente le coordinate musicali del trio su soluzioni sempre più lontane dalle suite che lo resero celebre come “Hemispheres” o “2112”. Ne seguì che il gruppo fu accusato senza motivo di essersi venduto al trend del mercato, ma a 20 anni di distanza dalla sua pubblicazione si capisce come “Signals” è da considerarsi un album assolutamente fondamentale nella storia dei Rush. Se non il miglior disco della band, senza dubbio un capolavoro. Principalmente un album legato al progresso-scientifico nelle sue tematiche.
L’apertura è affidata a “Subdivisions”, un brano in cui sembra che le chitarre di Lifeson prendano solo una parte del contorno musicale, lasciando spazio alle tastiere, favorendo così un tappeto armonico più elettrico. Il brano parla di un mondo preciso, preimpostato, già determinato nei suoi eventi, di come si debba essere al pari con le masse o altrimente si rischia di essere considerati “out”. Una canzone che ti coinvolge con le melodie delle tastiere e ti fa muovere con il suo groove ritmico, bellissima. La seconda song “The Analog Kid” affronta il tema della fuga come liberazione da un contesto troppo stretto e troppo diverso, quello di “Subdivisions” insomma. Incalzante, incentrata sul basso di Geddy almeno nella parte dei versi, per poi avere un rallentamento sul ritornello, più elevato grazie alle tastiere, quasi spirituale. “Chemistry”, ebbene si una canzone sulla chimica! Un soliloquio scientifico tra telepatia, H2O, reazione, particelle e chi più ne ha più ne metta. Tastierismo molto elegante e chitarrismo in gran velocità nell’introduzione di questa song, ancora atmosfere, rallentamenti per questa canzone ancora frutto della reazione di tre menti geniali. “Digital Man”, uomo digitale, sintetico, che cattura tutto ciò che vede e legge. Vorrebbe viaggiare, ha tutto il tempo che vuole, almeno fino a che non lo spegneranno. Un bel groove è alla base di questa song, con un grandioso ritornello, fra le migliori del disco. “The Weapon”, parte II dell’inquietante quatrilogia Fear che si articola in ben 4 dischi diversi. Nell’ordine: “Grace Under Pressure”, “Signals” e “Moving Pictures”, quindi partendo dalla fine in ordine temporale, ma la quarta parte è sull’ultimo “Vapor Trails”….misteri!! Molto liscia, non risulta inquietante come dovrebbe essere, un pò più scarna se vogliamo, ma essenziale, come tutte le altre song di Singals in fondo. “New World Man” descrive un ipotetico uomo del nuovo mondo, belli gli accostamenti che fa Neil nel testo. Elettronica ancora in avvio, molto ben congegnata. Non so perchè mi ricorda “Vital Signs”, sarà per l’andamento reggae che ogni tanto i Rush mettono nelle loro canzoni. A tratti la canzone sprizza come quelle di “Permanent Waves” per intenderci, molto bella. In “Losing It” suona Ben Mink il violino elttrico, è una canzone molto delicata. “Countdown” è stata ispirata al gruppo dopo aver visto il decollo dello shuttle Columbia ed infatti sono numerosi i ringraziamenti ad addetti della NASA per aver fornito alcuni suoni e per avergli dato questa possibilità. Si avranno altri riferimenti a lanci della nasa nella song “Red Sector A”, che indica il settore vip ai lanci nello spazio, sul successivo “Grace Under Pressure”.
Solito capolavoro senza tempo.
Fracesco “madcap” Vitale
Track-list
(5:33) Subdivisions
(4:46) The Analog Kid
(4:56) Chemistry
(6:20) Digital Man
(6:22) The Weapon (Part II of Fear)
(3:41) New World Man
(4:51) Losing It
(5:49) Countdown