Recensione: Silent Nation
A ventidue anni dalla formazione e da quel caposaldo dell’art prog che fu l’omonimo debut, gli Asia continuano a tenere alta la bandiera della melodia con il solo Geoff Downes, il cui apporto compositivo al citato masterpiece fu di primissimo piano (compose o contribuì alla composizione di sei pezzi su nove). Il tastierista ex Buggles è affiancato da ormai quattordici anni da John Payne, che sostituì in occasione della reunion del 1990 il defezionario John Wetton.
Sebbene del “supergruppo” del 1982 manchino oggi gli altisonanti nomi di Carl Palmer e Steve Howe, mi sento di dire che finalmente si è ritornati a livelli compositivi degni di non far dubitare che ci si trovi di fronte allo stesso gruppo di “Asia” o – su livelli più terreni, per i comuni mortali – “Alpha”.
Siamo ben lontani dal sound pomposo e progressivo di “Asia”, da cui è trattenuto solo qualche sognante refrain in stile Saga, e sono state definitivamente accantonate le sperimentazioni fusion e quasi new-age degli ultimi due album, in favore di un ritorno, oserei dire una riconferma nonché un omaggio, all’hard rock melodico e all’aor di derivazione Foreigner.
Certo, considerando che nell’ultimo periodo gli Asia non hanno ricevuto grandi consensi – so di cachet ridicoli per i concerti, e di locali semivuoti negli States – e che siamo spettatori di un vero e proprio revival del 1986 in fatto di nuove uscite, il dubbio che Downes abbia saputo cogliere la palla al balzo è legittimo, e difficilmente fugabile, ma cerchiamo di credere il più possibile alla buona fede di quelli che sono stati (e sono) degli idoli per molti di noi.
La scelta di passare a queste “nuove” sonorità sono preannunciate sia dal cover artwork – non più il fantasy o lo sci-fi dei disegni Roger Dean e Rodney Matthews – sia dal titolo dell’album, per la prima volta non formato da un’unica parola che inizi e finisca con la lettera “A”. Musicalmente è il classico disco da ascoltarsi tutto d’un fiato, molto compatto e amalgamato, sebbene vi sia una buona alternanza di tempi e soluzioni; ad ogni modo non vorrei si scambiasse questo lavoro per easy listening… Pur sempre di Adult Oriented Rock si tratta! Molti i brani killer, come la sbarazzina “I Will Be There For You”, o il nostalgico rock d’impatto di “Ghost In The Mirror”, tra i quali si ritagliano diversi momenti riflessivi, come le oscure “Darkness Day” e “Blue Moon Monday”. D’altro canto un’inflessione dark o comunque un certo interesse per le sonorità più fumose i nostri l’avevano già dimostrato nella opener, “What About Love?”, sia nelle strofe pericolosamente Queensryche (“The Mission”), sia nel refrain à la Ten (“It’s All About Love”, persino il titolo…).
Non convincono invece le divagazioni alternative della title track, né la massiccia presenza di cori gregoriani sulla ballad “Gone Too Far” (la più debole dell’album, nonostante il portentoso assolo di chitarra di Guthrie Govan, e sulla citata “Darkness Day”, mentre l’altro slow tempo, la conclusiva “The Prophet”, pare uscita dalle sessioni del nuovo Magnum, per epicità e pathos, e perfino nel modo di cantare Payne ricorda in certi passaggi Bob Catley.
Bentornati Asia!
Tracklist:
- What About Love?
- Long Way From Home
- Midnight
- Blue Moon Monday
- Silent Nation
- Ghost In The Mirror
- Gone Too Far
- I Will Be There For You
- Darkness Day
- The Prophet