Recensione: Silent Waters

Di Daniele Balestrieri - 10 Settembre 2007 - 0:00
Silent Waters
Band: Amorphis
Etichetta:
Genere:
Anno: 2007
Nazione:
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72

Si è rimessa in moto la ruota degli Amorphis, e ancora una volta, come da quindici anni a questa parte, la domanda è sempre la stessa: dove saranno andati a parare? Il nuovo album ci farà ballare con la techno di Cares, sorridere con l’assurdità di Alone o piangere con la retorica di Smithereens?
Beh, per giudicare al meglio questo disco bisogna partire da un presupposto fondamentale: la qualità degli Amorphis non è acqua. Si può discutere a lungo sui loro album, sull’ispirazione che li ha generati, sul tempismo con cui sono usciti… ma sta di fatto che non si può più trascurare il fatto che siano dei musicisti di grande esperienza, con una carriera articolata alle spalle e con una line-up talmente stabile da donare una parvenza di filo conduttore anche tra un album uscito nel 1992 e uno uscito nel 2007. Sarebbe una cosa scontata se parlassimo di Manowar, ma qui si parla di Amorphis, una delle band europee che ha cambiato più volte genere nell’arco della propria carriera senza per questo tradirsi o abbandonarsi a facili compromessi stilistici. Gli Amorphis non si sono mai vergognati di guardare avanti e allo stesso tempo indietro, lo fecero ai tempi di Karelian Isthmus mischiando death di vecchio stampo e folk di nuovissima scuola finlandese, lo fecero ai tempi di Far From the Sun scavando fino ai Pink Floyd in un contesto tecnicamente Gothic, e ritornano a farlo anche nella loro ultima fatica.

“Silent Waters” è un disco che mette in campo diversi ritorni di fiamma: si ritorna al Kalevala, motore principe di buona parte della produzione amorfica, si ritorna alle melodie sconvolgenti di Elegy e tanto per non scontentare nessuno, si ritorna anche a una certa malinconicità tipica di Far From the Sun, disco che più che mai ha diviso la critica mondiale.
Ma tornare a Far From the Sun, disco-testamento della stanchezza ideologica di Pasi Koskinen, sarà stato un passo ben ponderato? Bisogna dire innanzitutto che Silent Waters è un concept legato strettamente a un particolare capitolo del poema epico nazionale finnico, il già citato Kalevala. Spulciando nel passato, i dischi che più si sono incentrati sul Kalevala sono stati Tuonela, Tales from the Thousand Lakes e Far from the Sun.
Qualunque buon conoscitore degli Amorphis noterà che questi sono i tre dischi in un certo senso più “tristi” degli Amorphis, una tristezza però endemica, dovuta al fatto che i testi, e quindi di conseguenza le atmosfere sprigionate, si legano saldamente alla decadenza intrinseca del poema, che si consuma nella sua interezza tra tragedie familiari, conflitti psicologici e il sempiterno fatalismo che guida la maggior parte delle tradizioni scandinave. Dunque “Silent Waters” è un altro capitolo malinconico della saga degli Amorphis, ma non poteva andare diversamente: la scelta, lontana da quella effettuata nel precedente Eclipse, è stata quella di ricordare un passo dimenticato del Kalevala, assumendone dunque tutti i connotati spirituali, il freddo, l’oscurità, il silenzio… l’immobilità.
Partendo da questi presupposti, il nuovo disco non poteva essere una replica del prorompente Eclipse, ma doveva necessariamente ripiegarsi su sé stesso, anche a costo di non generare hit del calibro di “Brother Moon” o “House of Sleep”. Effettivamente il primo ascolto di Silent Waters lascia abbastanza spiazzati, ma chiunque conosca gli Amorphis sa bene quanto i loro album crescano esponenzialmente, e quanto spesso il primo ascolto comunichi una serie di impressioni che vanno modificandosi man mano che passa il tempo.

In un primo momento effettivamente ho quasi odiato questo disco, affibbiandogli un’etichetta da “fratello povero di Far From the Sun” che non gli rendeva affatto giustizia.
Non è servito molto tempo a farmi cambiare idea: il disco non è perfettamente omogeneo, come sarebbe lecito aspettarsi invece da un erede di Tuonela, ma al contrario è formato da lunghi stralci musicali totalmente dipendenti dal concept in atto. Prendiamo “Weaving the Incantation” per esempio: possiede i classici tratti tipici degli Amorphis, segnatamente i riff ripetuti all’estremo soffocati da un leggero fondo di tastiera, i tratti tipici di Elegy, rimarcati da un refrain coinvolgente e un diffuso uso di growl, e infine i tratti tipici di Tuonela, percepibili nell’atmosfera decadente che permea i riff portanti e soprattutto i cori di metà canzone.
Degna di menzione è la title track, brano in cui è evidentemente andata una particolare cura e che mette in risalto la voce calda e quasi sensuale di Tomi Juotsen, che dopo la grande prestazione di Eclipse può considerarsi a pieno diritto la nuova voce e anima degli Amorphis. Peccato per la sua presenza sul palco, non carismatica come quella glaciale di Koskinen, e per il tremendo video che gli hanno fatto girare proprio in occasione di questa title track, un esempio di rara inconcludenza che non rende giustizia alla collezione, peraltro già abbastanza schizofrenica, dei video targati Amorphis. Curiosamente, le canzoni più rocciose, quelle che più si collegano alla precedente produzione, sono le prime quattro – tracklist inclusa – che peraltro concludono il primo segmento dell’album con una canzone che sembra direttamente uscita da un moderno Tuonela.

Da “I of Crimson Blood” il disco inizia a scemare nell’introspettivo e nel progressivo, come se fosse stato pagato il biglietto delle canzoni blockbuster, e fosse iniziato il vero spirito di “Silent Waters”. I riff a tratti epici, il pianoforte utilizzato profusamente e l’uso indiscriminato del growl, che sembrava morto e sepolto subito dopo l’uscita di Am Universum e Far From the Sun, rendono l’ascolto toccante, interessante e a tratti leggermente monotono, vuoi per i temi trattati e vuoi per la fantasia compositiva che a volte cede un po’ troppo alle lusinghe di lunghi tratteggi deprimenti che lasciano un po’ rimpiangere l’inizio più turbolento dell’album. Ma, nonostante le scelte effettuate, quest’album trasuda passione per le tradizioni musicali della band, rimaneggiate ad arte da un gruppo che da tempo sa ciò che vuole e che, se vuole, non fatica a nuotare controcorrente.
Nel caso di Eclipse l’incantesimo è funzionato alla perfezione, in questo caso ci vuole un po’ più di tempo per digerire i tempi più lunghi, le chitarre più ipnotiche e il cantato che a tratti sfiora fraseggi pop-rock; tuttavia i frutti dell’attesa saranno decisamente soddisfacenti per coloro che sapranno aspettare e lasciare che le acque silenziose di quest’album penetrino a dovere, ascolto dopo ascolto, dopo ascolto, dopo ascolto…

TRACKLIST:

01. Weaving The Incantation
02. A Servant
03. Silent Waters
04. Towards And Against
05. I Of Crimson Blood
06. Her Alone
07. Enigma
08. Shaman
09. The White Swan
10. Black River
11. Sign (bonus track on digipak)

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