Recensione: Silenzio Profondo
Silenzio Profondo: combo mantovano che festeggia il proprio esordio discografico ufficiale su full length dopo due Ep e ben undici anni di milizia metallica. A dar loro la possibilità è l’Andromeda Relix, indomita label che da sempre – insieme con altre etichette italiche degne di nota, invero – lotta per distinguersi dall’omologazione dilagante e dai de profundis annunciati dagli starnazzatori a libro paga del Palazzo.
Proporre HM classico cantato in lingua madre, come fanno Gianluca Molinari (chitarra) & Co. è pur sempre una scelta coraggiosa. Chiaro, i tempi nei quali Bazooka, Strana Officina – solo per citarne due – insieme con altri eroi dell’Acciaio italiano in un certo qual modo sdoganarono questa tipologia di scelta artistica sono cambiati, altre band semplicemente “rock” hanno poi instillato nelle orecchie degli ascoltatori la timbrica italica fusa con delle note distorte e tutto è risultato più facile ma associare l’heavy metal ortodosso alla nostra lingua richiede comunque uno sforzo ulteriore. Esempi recenti e meno recenti illustri non mancano, in questo senso: Rosae Crucis e T.I.R. sono lì da ascoltare…
“Silenzio Profondo” consta di otto canzoni e si accompagna a un libretto di otto pagine con tutti i testi e delle foto della band nelle due centrali oltre a uno scatto con dedica nella penultima per Matteo Fiaccadori, chitarrista mancato nell’aprile di quest’anno per incidente stradale.
“Senzanima”, molto vicina ad alcune cose di Pino Scotto, apre le danze all’insegna dell’hard&heavy, andandosi a stampare in testa in virtù di un ritornello dal gancio giusto. “A Stretto Contatto” gronda riff dal profumo Nwobhm e va a piazzarsi al primo posto fra i pezzi dell’intero album, per chi scrive: l’adagio “Nessuno si fida più di Nessuno” colpisce nel segno e non ne vuole sapere di andarsene… Scorre la rocciosa “Terzo Millennio”, “Fragile” è il lento di turno e, a differenza dei prodotti di moltissime altre band tricolori dedite alla musica dura, abbassa lo score di “Silenzio Profondo”: il combo mantovano, infatti, dà il meglio di sé quando c’è da “menare” e paga pegno su terreni morbidi. Caratteristica non da poco, questa. In termini positivi, ovviamente.
“Jack Daniel’s” è il pezzo caciarone del lotto, quello rock’n’roll che, se fatto bene come in questo caso, non guasta – quasi – mai. “Fuga dalla Morte” parte con un riff che nasce da lontano e poi deflagra lungo i binari dell’HM millenario – esagerando un po’ – forte anche di cori carichi il giusto. “Donna Senza Testa” va a rappresentare la cifra epica dei ‘Silenzio: chitarrone cadenzate in una morsa a la Slayer seguite da passaggi melodici, il tutto al servizio di sei minuti e mezzo di un testo accattivante il giusto. Chiude baracca e burattini la title track nonché canzone omonima del gruppo. Una batteria a la Manowar periodo Columbus apre a squarci modellati sulla grande lezione degli Iron Maiden andando a piazzare un episodio al quale il tempo attribuirà lo status di classico. Il riffone imperiale a ¾ del pezzo fa sempre la sua porca, e metallara, figura.
Al netto di qualche passaggio rivedibile, il songwriting dei Silenzio Profondo non passa inosservato, cosa non proprio così scontata in un’Italia ove ormai è più la gente che suona di quella che va ai concerti e le troppe uscite discografiche giocoforza stritolano sempre qualcuno nel tritacarne dei numerosissimi ascolti diversificati. Se riusciranno a fare il salto di qualità necessario, nel prossimo futuro sentiremo parlare parecchio di questi cinque metaller mantovani.
Stefano “Steven Rich” Ricetti