Recensione: Silhouettes
Certe volte, nella fretta di sentire tutto di tutti in un ambiente musicale intasato di proposte, siamo portati ad ascoltare i dischi
superficialmente o, peggio, a fermarci ai singoli presenti su internet senza domandarci se, oltre ad essi, ci sia qualcosa di più,
magari meno ruffiano a livello promozionale, magari più coraggioso a livello artistico. Textures, Silhouettes, vi siete già
scandalizzati sentendo praticamente delle cover dei Meshuggah fatte in una versione maggiormente patinata che strizza l’occhio ai generi
-core? Bene, dimenticate tutto e compratevi il disco, rimarrete piacevolmente stupiti, quando non addirittura estasiati.
Nonostante siano arrivati al loro terzo album e quindi possano contare su un nome già abbastanza conosciuto e di uno stile consolidato i Textures scelgono come canzone apripista per il loro album Old Days Born Anew, decisione forse sbagliata in quanto questo pezzo può sì dimostrare quanto i nostri siano in grado di competere con i migliori fautori del tempo dispari all’interno di mid-tempos thrash oriented (Meshuggah e tutta la schiera di followers più o meno noti, possiamo citare gli Mnemic), ma fallisce nel mostrare tutta la carica innovativa di una band che diviene a pieno titolo la seconda dopo i The Ocean a riprendere con cognizione di causa gli stilemi del terzetto Thordendal/Hagstrom/Haake per innovarli e dar vita alla nuova generazione della malattia mentale musicale. Inserite il disco e prestate attenzione alle escursioni melodiche della voce, solamente abbozzate nei primi due pezzi, ma finalmente, pienamente realizzate in Awake. E allora descriviamolo questo pezzo.
Un riff rilassato di chitarra, accordi distorti come non mai, eppure assolutamente tranquilli, ai quali ben presto si aggiunge una voce che sembra provenire da un Eric Kalsbeek sdraiato su una spiaggia a mirare un crepuscolo azzurro. Ci sembra di essere ospiti all’interno di un disco degli Incubus quando improvvisamente ci accorgiamo che qualcosa sta cambiando: uno stop improvviso e veniamo catapultati praticamente in un’altra canzone, dove la rabbia prende il sopravvento in un tripudio di tempi tagliati, rimanendo però dannatamente coerente. Gli intervalli, ecco su cosa giocano i nostri: l’abolizione del salto di semitono (abusatissimo da tutto il metal) permette loro di suonare quasi maggiori a volte, quasi pentatonici altre, creando una scissione dannatamente schizofrenica all’interno della loro proposta musicale, scissione che però è bella, anzi, stupenda. Non ci stupiamo quindi quando la linea vocale torna sul tema iniziale, questa volta senza alcuno stacco, e ciò sembra una logica conseguenza all’interno di una struttura perfetta. Un capolavoro che dura quattro minuti e quindici secondi Awake, peccato che poi il disco non si ripeta costantemente sugli stessi livelli.
Ebbene sì, i Textures mostrano una carica di genialità compositiva davvero invidiabile. A livello analitico il giochino è molto semplice: il lavoro chitarristico già spiegato permette al cantante di cambiare l’umore della canzone semplicemente variando stile vocale; se quindi lo scream su un determinato riff comunica rabbia e sofferenza, una voce melodica sulle stesse note riesce addirittura a risultare dolce, in una metamorfosi quasi magica. Incredibile ma, forse complice la paura di risultare ripetitivi, i nostri in molte canzoni relegano i passaggi di questo tipo allo status di stacchi, variazioni sul tema principale che si prendono ben poco spazio all’interno di brani che senza di essi, altro non sono che una buona riproposizione dei Meshuggah di Nothing o Chaosphere a seconda della velocità del metronomo. E allora ad episodi da incorniciare (Storm Warning, Messangers…) se ne accostano altri belli senz’anima (Laments of an Icarus, State of Disobedience, One eye for a Thousand…) in un disco che passa dal bellissimo al discreto senza soluzione di continuità.
In effetti bisogna giustificare i nostri: un buon album non può reggersi su un solo schema compositivo, bisogna essere in grado di
variare al suo interno in modo da dare un senso al fatto che esso contenga una decina di pezzi e non uno soltanto. Ma per sfornare il
vero capolavoro i Textures hanno bisogno di trovare una formula originale anche per le tracce aggressive, non solo per quelle elaborate
da piazzare al centro della scaletta. Se ce la faranno allora potremo gridare al miracolo e dare voti oltre al novanta, per ora invece rimaniamo a gustarci un ottimo disco, e scusate se è poco.
Tracklist:
01. Old Days Born Anew
02. The Sun’s Architect
03. Awake
04. Laments of an Icarus
05. One Eye for a Thousand
06. State of Disobedience
07. Storm Warning
08. Messengers
09. To Erase a Lifetime