Recensione: Silicon Messiah
Tutti consciamo Blaze Bailey. Un cantante di talento, che probabilmente avrà fatto i salti di gioia alti 2 metri quando Steve Harris e soci gli avranno detto dopo i provini: “Tu ora sei il nuovo cantante dei Maiden”. Implicitamente significava, tu ora non ci dovrai far rimpiangere Paul Di Anno e soprattutto Bruce Dickinson. Se il buon Bailey avesse realizzato la difficoltà di quel ruolo! Se avesse realizzato che gli Iron non erano in un gran momento (dal punto di vista della creatività) e che lui, in caso di flop, sarebbe stato il capro espiatorio perfetto. Povero Blaze! Lasciando i Maiden ha fatto bene sia alla “Vergine di ferro”, che con il ritorno di Dickinson è tornata agli antichi fasti, sia a se stesso formando i Blaze. In questo gruppo ha potuto dare libero sfogo al suo potenziale, a mio parere represso negli Iron (dove cercava di imitare Bruce).
Esce così nel 2000 Silicon Messiah. Un album di vero heavy metal che si apre con Ghost in the machine. Canzone che si mette in evidenza per il buon riff, per il coro melodico e soprattutto per la gran prestazione di Bailey. Inizialmente la sua voce è bassa e penetrante, poi, nel break centrale, quasi rabbiosa. The evolution è una traccia abbastanza simile, per struttura e sound, all’opener dove particolare attenzione è dedicata al chorus. Carino il cambio di ritmo e l’assolo che rende meno banale la canzone. La title track comincia con un bell arpeggio di chitarra, poi entra in scena un riff che accompagna le strofe e che sfocia in un coro dove Blaze fà sfoggio di una buona estensione vocale. Si alza decisamente il ritmo con Born as a stranger grazie all’ ottimo lavoro di batteria e basso. Una traccia piacevole che scorre senza intoppi e che mi ha appasionato nel pre-chorus, immediato e veloce. Un buon assolo (anche se piuttosto scontato) chiude una canzone che dal vivo farà sfracelli (l’ ho sentita 2 anni fa). The hunger è originale con sonorità meno immediate, lente, melancoliche. Il ritmo rimane lento e cadenzato per tutti i 6 min. nonostante le sfuriate delle chitarre. The brave è la canzone più immediata e facile del concept, ma non per questo deve essere disprezzata. Una traccia diretta, semplice, forse banale anche nel testo (Fortuna e onore ai coraggiosi che rischiano tutto e che caduta dopo caduta risalgono ancora e ancora). Identity mi è piaciuta nel coro cantato divinamente dal buon Bailey e nel cambio di ritmo che valorizza maggiormente questa traccia. Reach for the horizon è un po’ anonima non essendo dotata nè di un coro riuscito, nè di un sound particolare. Carina ma nulla di più. The launch vola invece velocissima anche perchè dura poco. Tuttavia in questa traccia Blaze canta praticamente per due minuti senza sosta dimostrando ancora una volta di essere indubbiamente un gran vocalist. L’inizio di Stare at the sun mi ricorda Brave new world. Ma forse dovrei dire il contrario visto che Silicon Messiah è stato registrato prima dell’ ultimo degli Iron. Comincia lentamente per i primi due minuti e poi si anima lentamente grazie ad un gran lavoro di batteria, a un ottimo coro e ad un buon assolo che mettono la parola fine all’album.
In conclusione questo concept per i Blaze è di buona fattura. Un disco ben prodotto e ben suonato. I 52 min. di Silicon Messiah scorrono senza grossi intoppi. Mi ha fatto enorme piacere riascoltare Blaze che come dice la conzone “Brave” si è rialzato dopo la batosta Iron. Un buon lavoro, non essenziale, ma sicuramente piacevole.
GOST IN THE MACHINE / THE EVOLUTION / SILICON MESSIAH / BORN AS A STRANGER / THE HUNGER / THE BRAVE / IDENTITY / REACH OUT FOR THE HORIZON / THE LAUNCH / STARE AT THE SUN.