Recensione: Silver Seraph
Per quei pochi che ancora non lo sapessero la Silver Seraph nel campo automobilistico è una delle macchine più costose oggi in circolazione, un modello di Rolls Royce super accessoriata destinata a chi ha soldi da spendere, insomma roba che noi, abituati alle nostre povere utilitarie, ci sogniamo. Conclusa questa piccola parentesi per gli appassionati delle quattro ruote, i Silver Seraph che andiamo a prendere in esame con questa recensione sono un super gruppo proveniente dalla sempre più prolifica Svezia, che tenendo fede al proprio nome, vede schierati fianco a fianco la crema della scena hard/heavy metal nordica. Infatti, il platter di debutto del quintetto in questione, verte sull’estro creativo della coppia Richard Andersson ( tastiere-Majestic)/Pete Sandberg ( voce-Alien, Jade, Midnight Sun), supportati per l’occasione da una schiera di musicisti illustri frai quali ricordiamo il batterista Peter Wildoer (Darkane, Majestic, Archenemy) e il chitarrista Jens Lundhall (Jade, Narita). Da quello che avete di certo capito, la prolifica scena scandinava genera ancora una volta una band di grande livello e conseguente prestigio internazionale, che si prodiga nel produrre un fantastico disco di hard rock tradizionale e metal di stampo fortemente neoclassico nella migliore delle tradizioni UK come solo i grandi Deep Purple prima, e i magici Rainbow poi, ci hanno saputo offrire nel corso degli anni. Maestoso nelle melodie e negli arrangiamenti, orecchiabile quanto elaborato, “Silver Seraph” non necessita il ricorso di illusionismi di alcun tipo colpendo al cuore come un fendente. Dieci tracks che riusciranno a mettere d’accordo sia gli amanti del buon gusto sonoro che quelli della tecnica strumentistica, ben due i brani strumentali qui presenti, fra graffianti riffs di chitarra e fughe tastieristiche degne dei maestri sopracitati, e se si aggiunge a tutto questo una produzione limpida e potente atta a risaltare maggiormanete l’ottimo lavoro della band, il gioco è fatto. Giuro, basta ascoltare pochi secondi dell’opening track “Aftermath” per essere trasportati indietro nel tempo, con un’organo che si dipinge di rosso porpora e ricama intrecci degni della splendida “Burn”, mentre le atmosfere arabeggianti di “7th day of Babylon” richiamano alla memoria il miglior Malmsteen di “Fire and ice”. Ma se “Desperate heart”, come fa presagire il titolo, è una mielosissima ballad, “Nosferatu” ci mostra il lato più oscuro dei Silver Seraph con un’attitudine sonora paragonabile ai Black Sabbath di “Mob Rules”. Certamente non si tratta di un disco fondamentale da avere ad ogni costo, anche se in paesi asiatici come Korea e Giappone ha fatto sfracelli di vendita, ma se vi capita fra le mani dategli un’ascoltata, e mi saprete dire.