Recensione: Sinister
L’uscita di questo “Sinister”, vergato con il monicker Appice, richiede un breve riassunto storico riguardo i due fratelli italo-americani. Entrambi batteristi dotati di indubbie capacità tecniche, più prossimo alla tradizione jazz e al blues Carmine, mentre Vinny ha legato il suo nome alle sonorità metal, si tratta di nomi che hanno scritto pagine importanti nel rock.
E se il quasi settantunenne Carmine è riuscito a portare le sue tre band principali (Vanilla Fudge, Cactus, King Kobra) fino ai giorni nostri, inserendo nel frattempo un’infinità di collaborazioni tra cui, giusto per citarne alcune, Rod Stewart, Pink Floyd, Ozzy, Paul Stanley, il sessantenne Vinny ha raggiunto il top nella carriera con i Sabbath dell’era Dio (compresa la reincarnazione negli Heaven And Hell) seguendo poi lo stesso Ronnie James nella sua carriera solista, sedendo ancora oggi dietro le pelli dei Last In Line e, anche lui, in una serie di collaborazioni di cui si è perso il conto.
Tolta la registrazione del tour “War Drums”, Sinister è ad oggi la prima testimonianza in studio che vede i due fratelli incrociare le bacchette su composizioni incise e prodotte a loro nome. Ovviamente per l’occasione non hanno esitato a convocare qualcuno dei tanti amici-colleghi incontrati nelle decadi del rock. Alcuni nomi: Paul Shortino (ex-Quiet Riot), Robin McAuley (M.S.G.) e Chas West (Lynch Mob) tra coloro che si alternano al microfono, Craig Goldy, Ron Bumblefoot (ex-Guns N’ Roses), Joel Hoekstra (Whitesnake), Tony Franklin per un assortimento strumentale vario.
La partenza con la titletrack interpretata da un graffiante Jim Crean è quasi tribale con filtri elettronici, per poi aprirsi in un hard rock dal taglio moderno arricchito, e c’era da aspettarselo, da scambi di colpi tra i due paisà, rullate e tecnicismi che rendono il pezzo un po’ ostico, lontano da un incipit diretto come ci si attendeva. “Monsters And Heroes” è il primo singolo, circola anche un video a proposito, ed è l’immancabile tributo a Ronnie James Dio, che si risolve in un numero hard rock dal sapore classico interpretato dalla voce sempre calda di Shortino (con Mick Sweda dei Bulletboys alla chitarra) con un refrain incalzante molto vecchia scuola. La zeppeliana “Killing Floor” con Chas West al microfono, è proprio… zeppeliana! Riff alla Jimi Page serviti da Craig Goldy, lo stesso West emulone di Plant tra un richiamo a “Kashmir” e gli Appice che forse tributano le cannonate di Bonham. È chiaro come il songwriting di “Sinister” non inventi nulla di nuovo ma ripercorra di base le varie fasi artistiche dei padroni di casa (vedi le stradaiole anni ‘80 “Danger” e “Suddenly”, oppure la classic “Riot” che però è una cover dei Blue Murder, vecchia band di Carmine) con tanto mestiere e un percorso costruito per lasciare qui e là lo spazio necessario a inserire qualche dimostrazione tecnica di Carmine e Vinny (è pur sempre l’album di due batteristi) senza cadere nella mera clinic da studio.
Va anche detto che non sembrano trasparire tracce in grado di restare aggrappate alla memoria dell’ascoltatore, per quanto l’epoca delle hits sia morta e sepolta da tempo. Manca il pezzo vincente, e molte delle idee proposte vengono valorizzate più dalla prova dei vari interpreti (la chitarra di Bumblefoot su “In The Night”, quella di Joel Hoekstra su “War Cry”) più che da un loro valore imprescindibile.
Le cose più interessanti vengono fuori quando il buon vecchio Carmine si cimenta anche al microfono nella bluesy “You Got Me Rolling” mostrando di possedere una bella voce pastosa e avvolgente, dote che viene da dire ha poco sfruttato nella sua lunga carriera. Spicca anche “Sabbath Mash” essendo un medley dedicato ai mostri sacri Black Sabbath attraverso le varie “Iron Man”, “Paranoid” e “War Pigs”, dove troviamo anche le tastiere di Erik Norlander, mentre il momento focale è “War Drums” dove si può ascoltare una vera belligeranza di tamburi tra i due fratelli, inserita un po’ troppo sporadicamente nel resto della tracklist.
“Sinister” si rivela dunque un album a doppia faccia, proprio come la copertina non proprio riuscita. Un album dove il valore tecnico degli interpreti si fa sentire, con tanto mestiere, ma dove a mancare è il songwriting, l’importanza della canzone in sé. Sembra quasi che la tanta esperienza raccolta nelle due straordinarie carriere di Carmine e Vinny, anche se unita, non si sia rivelata vincente in fase prettamente compositiva, oppure che i due siano arrivati all’appuntamento un po’ di fretta e con le polveri bagnate.
Forse con l’apporto di qualche compositore esterno e con più tempo a disposizione sarebbe andata diversamente, ma questo è quanto ci è stato donato. “Sinister” a conti fatti sa di occasione mancata, e celebra non al meglio due pilastri del nostro genere.