Recensione: Siogo

Di Abbadon - 15 Dicembre 2004 - 0:00
Siogo
Band: Blackfoot
Etichetta:
Genere:
Anno: 1983
Nazione:
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84

Da molti visto come uno dei migliori, se non il migliore in assoluto (cosa che mi trova solo parzialmente d’accordo), fra i dischi in studio dei Blackfoot, Siogo vede la luce nel 1983 ed è il settimo prodotto della band forse più “estrema” in assoluto nel panorama del Southern Rock. Partiti come gruppo Southern nel puro senso del termine, il combo si era poi parzialmente staccato dalle tipiche sonorità del genere (forse per allontanarsi dall’ombra invadente dei mostri sacri dei primi anni settanta), mantenendo sì le sue radici (così come altri “consorti”), ma potenziando il sound, che passava ad un vero e proprio Hard Rock. Questa formula divenne vincente soprattutto a cavallo fra seventies e eightes, con ripercussioni positive anche per Rick Medlocke e compagni, basti vedere prodotti quali “Strikes”, “Marauder”, “Tomcattin'” (ultimi dischi della band, se aggiungiamo anche l'”Highway song live”, prima del nostro), che apparecchiano parzialmente la tavola dalla quale nascerà Siogo (titolo quantomai strano, da taluni indicato come parola sinonimo di “prossimità”, da altri visto semplicemente come nickname di una qualche groupie), la vera sublimazione della virata di stile dei Blackfoot. Pesa molto, in questo ambito, il live : la sua uscita fu infatti lungamente posticipata negli USA, fatto che porterà la band su una via più commerciale, futuristica e di immediato successo (ancora più immediato di quello dei precedenti dischi in studio). A farne le spese sono gli strumenti tipici del Southern, come trombe, armoniche a bocca eccetera, che spariscono per lasciare dominio a quelli tipicamente rock. Ecco dunque, agli ordini del produttore Al Nalli, i soliti Rick Medlocke (voce, chitarra e principale mente compositiva), Charlie Hargrett (chitarra), Gret T (basso), e Jackson Spires (batteria e seconda “mente”). Via tutto il resto, trombettieri, armonicisti, tastieristi, via tutto, a favore di un solo, grandissimo, nome : Ken Hensley. E’ proprio Ken, che ben conosce l’aria dell’hard rock, l’asso nella manica. La sua genialità tastieristica è di fondamentale importanza, si sentirà presto. Centrato l'”acquisto sul mercato”, vediamo subito quanto il gruppo e riesce a dare in questa nuova veste. Beh, solo a sentire l’intro di “Send Me an Angel” mi vien da dire tantissimo. Questa canzone è a mio avviso l’emblema vero e proprio di un grande lavoro, lo si capisce subito dall’intro di tastiera, bellissima, magistrale, futuristica, in una parola perfetta. Non basta però una intro per rendere grande una canzone, ed ecco allora uno spettacolare riff, che porta per mano delle strofe entusiasmanti (meglio dei ritornelli) ove il frontman riesce facilmente a scatenarsi con la sua voce potente e splendidamente impostata. Un po’ meno scatenata ma sul medesimo piano qualitativo anche “Crossfire”, mid-tempo che vede protagonista un bellissimo duo chitarra/batteria, col solito (già solito alla seconda oh…) Hensley a spargere classe e maestria sullo sfondo. Anche qui pochi i punti deboli, anzi siamo favoriti da una estrema orecchiabilità del pezzo, la cui “creme” è il delicato primo assolo, che precede quello pirotecnico. Possente l’utilizzo dell’elettronica in “Heart’s Grown Cold” che, se non sapessi chi la suona, attribuirei facilmente ai Van Halen del pieno periodo Sammy Hagar. Dei migliori comunque, visto che anche qui non scherziamo in quanto a coinvolgimento, basta sentire il brano per capirlo (ovviamente un purista butterebbe tutto nel cestino dopo nemmeno un ascolto). A dir poco esplosiva la partenza della terremotante “We’re Going down”, che mantiene in tutti i suoi frangenti gli stessi connotati del titolo. E’ un brano spigliato, sfacciato ed aggressivo, forse un po’ ripetitivo ma che a primo impatto non manca di fare la sua bella figura, soprattutto nello strano quanto curioso assolo chitarristico, anticamera di quello di tastiera, “Deeppurpleiano”, per stile e bellezza. Seconda intro magistrale, dopo quella dell’opener, del già straosannato Ken (ma che ci posso fare, è una divinità della tastiera e come tale va osannata), quella che ci porta nel vivo di “Teenage Idol”, pezzo che è un ideale mix fra le prime due tracks. Non esplosiva come “Send me an Angel”, non ritmata come “Crossfire”, ma col potere di racchiudere il meglio delle due composizioni precedenti, Teenage non mi pare meriti altro da dire se non quello che ho detto, e che potete dunque immaginarvi, quindi vado avanti per trovarmi immerso nella gioiosa e godibilissima “Goin’ in Circles”. Anche qui nulla di nuovo, stesso discorso fatto per “Heart’s Grown Cold”, ovvero : sarebbe stata benissimo qualche anno dopo sui vari “5150”, “OU812”, magari (probabilmente vah…) contribuendo a migliorare il loro livello complessivo. Ben più duro l’attacco della strabiliante “Run for Cover”, una vera frana. Non solo c’è a mio avviso la miglior prova canora del singer (che si dimostra qui come altrove garanzia di qualità molto alta), ma anche le best performance di batteria e basso dell’intera cricca. Capirete bene quindi quanta carne al fuoco dia “Run For Cover”, adrenalina pura pur in una velocità contenuta. Ogni disco (vabbè non tutti ma quasi) deve avere un punto debole. A mio avviso in Siogo tale punto è il duo “White Man’s Land”/”Sail Away”. Il primo pezzo è discreto, giustamente cattivo ed agressivo, ma decisamente troppo sonoro e pompato per le sue effettive potenzialità. Migliora il tutto un devastante assolo, purtroppo troppo breve. Un pelo meglio andiamo con “Sail Away”, dotata di un attacco che non mi piace per nulla ma di un riff che mi fa presto dimenticare l’attacco stesso. Il resto è un alti e bassi fra il sufficiente (ritornello) e l’ottimo (le melodie centrali) ma, anche qui, Siogo ci aveva abituato a ben di più. Per fortuna arriva “Drivin’ Fool” a togliere le castagne dal fuoco, un vero e proprio muro sonoro, da headbangare a più non posso. Grandissimo il basso portante per una closer che si vede sporcare parzialmente da un ritornello un po’ scontato, poca cosa però rispetto ai numerosi punti positivi già descritti.

Finito. Sì, Siogo, dopo oltre 40 minuti si sorprese, in gran parte positive, è finito. Certo un purista della band e del rock sudista odierà questo “figlio illegittimo”, eppure continuo, pur amante io stesso del Southern, a reputare questo un lavoro splendido, degno sicuramente di una fama ben maggiore a quella che hanno lavori magari simili nei concetti musicali, ma che sul piano qualitativo pagano secondo me deciso scotto a Medlocke e al loro bambino (OU812 mi senti?).

Riccardo “Abbadon” Mezzera

Tracklist :
1) Send me an Angel
2) Crossfire
3) Heart’s Grown Cold
4) We’re Going Down
5) Teenage Idol
6) Goin’ in Circles
7) Run for Cover
8) White man’s Land
9) Sail Away
10) Drivin’ Fool

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