Recensione: Riddles, Ruins & Revelations
Tornano sulle scene i norvegesi Sirenia, capitanati dal polistrumentista, mastermind e produttore Morten Veland, a poco più di due anni di distanza da “Arcane Astral Aeons” (2018). Nati nel 2001 dallo split del fondatore con i Tristania, dopo innumerevoli cambi di lineup e di cantanti che ne hanno minato negli anni una facile riconoscibilità, per il terzo disco consecutivo troviamo al microfono la confermatissima Ennamuelle Zoldan, di Aix-en-Provence. Completano il quartetto il chitarrista trentunenne francese Nils Courbaron, in lineup ufficiale dall’album precedente, e il batterista inglese Michael Brush (Magic Kingdom), al suo esordio su disco con i Sirenia.
Ennesima virata nel percorso creativo di Morten Veland: “Riddles, Ruins & Revelations” ambisce a conquistare territori inesplorati grazie al pesante innesto di musica elettronica nel tessuto compositivo. Nelle descrizioni ufficiali del disco, accompagnato da una cover art davvero evocativa e ricca di simbolismi ad opera dell’artista ungherese Gyula Havancsák, si associa spesso lo stile rinnovato dei Sirenia a band passate alla ribalta negli ultimi anni come Amaranthe o Beyond the Black, per non citare i Delain (protagonisti di una scissione proprio in queste ore), gli ultimi Within Temptation o band italiane come Temperance e Moonlight Haze.
Approfondendo con un po’ più di attenzione la proposta tra enigmi e rovine, la prima rivelazione è che probabilmente tutti questi paragoni mancano clamorosamente il bersaglio. Forse ad eccezione dei primissimi Delain. In quest’album infatti è ancora molto forte la componente gothic metal, con un alone mortifero che permea anche le sezioni più ariose, prediligendo le scale minori e mantenendo un drumming sempre serrato ed incisivo, a differenza delle aperture al power delle band citate. Lo stesso dicasi per i temi trattati dalle liriche, sempre oscure e decadenti, con alcuni interessanti inserti in lingua francese come nella trascinante “Downwards Spiral”, tra i brani più riusciti del lotto con la voce clean di Joakim Næss in qualità di ospite.
Emblematico è il singolo scelto per lanciare il disco con un videoclip: “Addiction n.1”, brano strutturalmente molto semplice a partire dal testo volutamente naïf, con un coro che si stampa subito in testa, riffing e drumming serrati e tanti inserti di musica elettronica, a rimarcare il nuovo corso della band.
La prova della Zoldan è buona, melodica ma quasi mai pop, e crea quell’effetto di straniamento che il genere richiede, come mostrato anche nelle successive “Towards an Early Grave” e nella danzereccia “Into Infinity”, fino alla goticheggiante “Passing Seasons” dove fa sfoggio del cantato classico da mezzosoprano, ma l’impressione durante tutto l’ascolto è che manchi un po’ troppo il contrappeso del growl di Morten Veland, sacrificato a pochi e sporadici interventi. Anche le parti elettroniche tendono a fondersi fin troppo col resto degli strumenti al mixer, scavalcando e seppellendo il pur buon riffing (a patto di riuscire a percepirlo), con qualche incursione qua e là di Nils Courbaron che ci regala degli assoli tecnici di ottima qualità quanto fugaci.
Il dualismo vocale si risolve in maniera positiva in “Beneath the Midnight Sun”, brano dove finalmente abbiamo una buona valorizzazione di entrambe le voci, l’utilizzo dei synth, un ritornello facile, ma di nuovo le chitarre molto cupe un po’ troppo annacquate dalla componente elettronica, a testimoniare una produzione discutibile.
Interessanti anche la più lenta ed atmosferica “Decenber Snow” e la successiva “This Curse of Mine” dagli stilemi gothic più tradizionali.
Il disco si chiude con un’altra provocazione dei Sirenia: la cover dei Desireless “Voyage Voyage” (1986), interamente cantata in lingua francese, che pur mantenendo a fatica l’identità della band restituisce all’ascoltatore un’atmosfera più “happy” e positiva da band di metal melodico moderno, sulla melodia profondamente ottantiana da dance floor.
Mes songes se déversent dans un noir lac d’oubli…
“Riddles, Ruins & Revelations” dei Sirenia è un disco che convince solo a metà. Da un lato si lasciano apprezzare il coraggio e la creatività di Morten Veland, compositore mai uguale a sé stesso, capace di seguire il trend del momento senza snaturare del tutto una band dall’anima profondamente gotica, dall’altro è impossibile non riscontrare alcuni pastiche compositivi forzati dallo sperimentalismo del suo autore, con troppi ingredienti forse non dosati a dovere. Il risultato è un songwriting di discreta qualità, che a volte stupisce mentre altre risulta stucchevole. Affossa il risultato finale anche la produzione, troppo indirizzata dalla componente elettronica e “moderna” che finisce per lasciare troppo sovente in secondo piano l’apporto metallico delle due chitarre. À la prochaine!
Luca “Montsteen” Montini