Recensione: Skeletons
Ed alla fine è giunto tra noi.
Il discorso è ambivalente, in quanto si parla del muscoloso Danzig in sé, ormai assente discograficamente parlando sin dal 2010 con il buon “Deth Red Sabaoth”, che del tanto discusso album di cover, tanto chiacchierato almeno dal 2012, anno in cui fu diffuso per ‘canali alternativi’ (ehm….) il rifacimento tutto in chiave Danzig di “Devil’s Angels” dei Davie Allan & the Arrows, un brano strumentale del 1967 a cui il buon Glenn pare aver aggiunto un testo ispirato dall’occasione, rifacendosi alla melodia di chitarra del brano originale (NdA – dico “pare” in quanto l’originale sembra un brano strumentale in tutto e per tutto, poi potrei anche sbagliarmi).
SCHELETRI NELL’ARMADIO
Introdotto da una copertina piccante (oltre che da un singolo in vinile da 7 pollici contenente i primi due brani in scaletta dell’album), il disco si apre proprio con questa cover ed essendo io una persona a cui i Misfits (band inventrice dell’horror punk in cui Danzig ha militato nei suoi primi anni di carriera prima di darsi alla sua carriera solista, prima intitolata Samhain e poi riprendendo unicamente il suo cognome su consiglio del suo produttore ai tempi di uscita dell’esordio) hanno praticamente cambiato la vita da ogni punto di vista, ho avuto un colpo non da poco: un sound che è copia-carbone di quello dei Misfits di un tempo, chitarre cupe che disegnano un riff spudoratamente punk-rock e voce di Glenn urlata come ai vecchi tempi con quel suo tipico piglio in stile Jim Morrison….un bel colpo, insomma.
Tutto il disco è tutta una serie di “scheletri nell’armadio” del buon Glenn, quindi eccolo riprendere ora un pezzo di Elvis, ora uno dei ZZ Top, mentre ora reinterpreta a suo modo la celeberrima “N.I.B.” dei Black Sabbath oppure sporca il suono di un pezzo dei The Troggs (sempre in chiave Misfits, davvero un altro bel colpo per chi come me amato questa band immortale), tutta musica della vecchia scuola la cui influenza è chiara per quanto concerne il suo ormai consolidato stile canoro.
Poco dire sui contenuti insomma, i maggiori pregi e difetti del disco risiedono nella vostra dose di simpatia/antipatia che nutrite per il buon Danzig, personaggio decisamente poco sulle sue nella vita privata (i suoi casini sono decisamente noti al pubblico) quanto decisamente carismatico su disco: non sempre il Nostro ci ha rilasciato capolavori, anche se bisogna ammettere che ogni suo passo artistico è sempre stato pregno di un’onestà artistica che personaggi ben peggiori di lui oggi si sognerebbero….
Il buon Glenn si trova decisamente a suo agio nei pezzi proposti e non potrebbe essere altrimenti, dato che li ha scelti lui, mentre la produzione decisamente cupa e quasi ‘da cantina’ ben si adatta e risalta lo stile oscuro della sua voce e dei rifacimenti dei pezzi, ora in chiave più heavy/blues vale a dire nel più puro stile del Danzig solista come nel caso di “Somebody” dei The Young Rascals o “Let Yourself Go” di Elvis Presley (davvero da pelle d’oca come la sua voce ed il suo riarrangiamento heavy/blues siano un tutt’uno in grado di donare nuova linfa al pezzo originale), mentre in altri casi il Nostro preferisce conferire ai pezzi uno stile dark-punk più in stile Misfits (come i due casi sopra citati), fatta eccezione per l’heavy sostenuto del già citato cavallo di battaglia “N.I.B.” dei Black Sabbath, dove anche la produzione, specie della batteria, si fa più compressa e sostenuta.
Ma è un caso sporadico, in quanto tutto il disco si muove dannato e luciferino come nella migliore tradizione Danzig, tra echi hard blues & heavy rock dallo zampino pregno di zolfo mescolati a delle sane schitarrate punk-rock, vale a dire il suo classico stile da solista, sebbene con qualche nota calante in più a livello vocale, ma in fondo quest’ultimo appunto più che un difetto è nell’insieme una forza oltre che un pregio: nell’insieme perché la sua prestazione vocale non sempre perfetta rende il concetto stesso dell’album di cover più spontaneo e genuino, inoltre è anche un pregio in quanto il tutto si lega all’atmosfera da ‘jam in cantina’ data in sede di produzione.
Quindi, se di difetto parliamo, allora bisogna ammettere che quel volpone di Danzig ha fatto centro anche in questo caso, salvandosi in corner con una scelta produttiva azzeccata, un segno che è tipico di chi è davvero artista al 100% ed il buon Glenn Danzig lo è tuttora, seppur con i suoi alti e bassi sia a livello discografico che privato.
VERDETTO FINALE
Un disco che in realtà dovrebbe restare senza voto, ma che per motivi di scelte redazionali sono comunque tenuto a valutare e che premio con quello che per i nostri metodi di giudizio equivale ad un 7 pieno, tenendo presente che chi scrive adora Danzig in tutto e per tutto mentre, per chi proprio non lo sopporta, il voto potrebbe anche essere dimezzato rispetto al mio, non giustificando in alcun modo i difetti che io ho comunque salvato nel contesto di produzione del disco.
In ogni caso quindi, nessuno potrà mai essere imparziale nei confronti di questo album di tributi o, per meglio rispettare il titolo del disco, di “scheletri nell’armadio”.
Un decimo step per la sua carriera in studio che dividerà alla pari del suo personaggio, statene certi.