Recensione: Skoggorna Kallar
Gli Skogen son un gruppo proveniente dalla città svedese di Vaxjö, piuttosto noto nella scena dell’atmospheric black metal. Dopo aver dato alle stampe alcuni piccoli gioielli come “Vittra”, tornano, dopo quattro anni di silenzio, con “Skoggorna kallar” (le ombre chiamano). Questo nuovo album, dominato ancora una volta da tematiche “naturali”, in piena tradizione svedese, si distingue per un sound piuttosto specifico.
Black atmosferico, si era detto, eppure in questa sede l’etichetta pare piuttosto riduttiva. È possibile riconoscere nei 41 minuti di questo full-length una miriade di influenze che variano tra stili e gruppi assai diversi. Ci sono elementi propri del folk e del doom, ci sono poi anche stacchi ambientali. Un songwriting piuttosto ispirato, dominato spesso da clean vocals e strofe di facile metabolizzazione, fa pensare a certo metal di nuova generazione che ha preso parecchio dall’indie. Di fatto, scorrendo le nove tracce di “Skoggorna Kallar”, nomi quali Sólstafir e Vulture industries, per qualche strano motivo – e forse nemmeno troppo strano – balzano alla mente più volte.
In effetti, la dipendenza dal black atmosferico in questo album emerge in maniera molto sparuta, sicché, andando per esclusione, l’unico genere tra quelli che ci è dato spuntare e che ci sembra un minimo prossimo alla proposta dei nostri, pare essere l’avantgarde.
Il che, sotto certi aspetti, desta alcune perplessità. La musica prodotta dai nostri è, a tutti gli effetti, dotata di una forte personalità e senza dubbio il Skogen-sound risulta estremamente stratificato, piuttosto ispirato e anche assai riconoscibile. Purtuttavia è anche un sound estremamente derivativo. Al di là delle due band precedentemente citate, sono molti i nomi che vengono in mente ascoltando il disco.
Ed anche per questo, il risultato non convince appieno. O meglio. Questo disco sicuramente farà la fortuna di molti che cercano qualcosa di originale, ed è fuor di dubbio che molte tracce colpiscano ai primi ascolti. Purtuttavia le composizioni non riescono a incidere a fondo. Sicché, superate le ottime impressioni iniziali, l’idea è che qui ci sia talmente tanta roba (tutta al punto giusto) che il risultato finale risulta paradossalmente insipido. Questo album è senza dubbio buono, ma paga dazio alle molte anime che lo costituiscono. Le carte in regola per sfondare ci sono tutte e non è detto che in futuro gli Skogen non riescano a stupire ancora.