Recensione: Skull Age

Di - 23 Luglio 2009 - 0:00
Skull Age
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Anno: 2009
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75

Come pescare i pesci in un barile.
Credo che questa sia la giusta interpretazione per questa pubblicazione della band capitanata dall’istrionico Zakk Wylde.

Perché un ‘greatest hits’ di solito non regala niente di nuovo, e di certo nemmeno questo ottimo “Skullage” offre dei grossi spunti di riflessione.
Spesso queste uscite servono più come mera operazione commerciale che per autentico bisogno creativo, ed è indubbio che ai BLS non sia per nulla necessaria tanta promozione, soprattutto per quanto concerne la loro storia, fatta di 11 anni di rock, distorsioni e whisky.
Ad ogni buon conto possiamo tranquillamente discutere e azzannarci sulle scelte economiche e le pazze ed inutili manovre di mercato, ma non possiamo certo, discutere sulla qualità musicale che questo prodotto ci offre.
I valori sono sempre molto alti, come il buon Zakk ci ha abituato da anni, la produzione è di ottimo livello, ben bilanciata, in modo da ottenere il massimo da ogni strumento senza una predominanza troppo netta, se escludiamo il caratteristico imprinting della chitarra del gigante biondo.
La scelta dei brani, ben ponderata e rappresentativa, offre un panoramica completa della carriera dei Black Label Society dagli esordi di ”Sonic Brew” fino ad arrivare a ”Shot to hell”, targato 2006.

Come detto poc’anzi, ben pochi sono gli appunti ascrivibili a canzoni che hanno contribuito a creare il mito del musicista di Bayonne (tralasciando volutamente la ultra decennale collaborazione con Ozzy Osbourne) e che la critica ha già ben che sviscerato ed analizzato. Si può parlare d’emozioni, questo si.
Perché un qualsiasi disco dei BLS riporta al sottoscritto una lunghissima serie di sensazioni che solo un rock duramente morbido (e mi si permetta l’ossimoro) è in grado di dare, quel contrasto aperto tra armoniosa melodia e tagliente musica di strada tanto caro ai fan di tutto il pianeta.
“Skullage” è il giusto sunto del lavoro di una band che forse non avrà proposto qualcosa di davvero innovativo in senso assoluto, ma che in ogni modo è stata capace di veicolare la musica Southern al di fuori delle polverose autostrade americane e farla giungere fino a noi, così come testimoniato da un gran numero di dischi dell’underground non solo tricolore, fatto di continui rimandi e contaminazioni di stampo sudista, di chiara matrice BLS.
Niente di assolutamente innovativo, ma tanta musica ispirata e ispiratrice che è stata capace di influenzare le menti di una generazione di musicisti.

Una sorta di raccolta celebrativa, insomma, contenente tutte le canzoni che si potrebbero racchiudere in una qualsiasi compilation dei Black Label, al fine di renderla completa e sufficientemente rappresentativa, la cui valutazione non può tuttavia prescindere dal senso dell’opera, tralasciando per un breve istante l’effettivo valore della musica che ci viene proposta – ovviamente – meritevole di apprezzamenti sensibilmente più ampi ed elevati.
Ne sono esempio le parti acustiche proposte sul finire dell’album, capaci di sottolineare ancora una volta la completezza espressiva dei Black Label e di svelarne il lato più intimamente nascosto, da sempre arma segreta della band di mr. Wylde.

Per concludere, un disco di cui forse non si sentiva la mancanza, ma di certo un buon “manifesto” per chi si è avvicinato al gruppo da poco ed è desideroso di conoscere la storia musicale di Zakk Wylde e dei suoi Black Label Society.

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Tracklist:

01. Machine Gun Man
02. Dead As Yesterday
03. All For You
04. 13 Years of Grief
05. Bleed for Me
06. Doomsday Jesus
07. Stillborn
08. Won’t Find It Here
09. Suicide Messiah
10. In This River
11. Fire It Up
12. New Religion
13. Instrumental Intro (acoustic)
14. The Blessed Hellride (acoustic)
15. Spoke in the Wheel (acoustic)
16. Stillborn (acoustic)

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