Recensione: Skull And Bones
Nati nel 1993, i venexiani Great Master inanellano il quarto album in carriera che va a segnare anche il poker con la nostrana Underground Symphony. Se non un record poco ci manca, vista la girandola di etichette che solitamente orbita intorno alle band di casa nostra lungo una carriera. Il combo di Jahn Carlini, sin dall’esordio Underworld del 2009, ha dato l’idea di essere una corazzata: unità d’intenti, qualità e tempo necessario per lavorare come si deve. Non a caso fra un disco e l’altro intercorrono mediamente poco più di tre anni. Skull And Bones, Tales From Over The Seas, l’ultimo nato, possiede, a livello grafico, tutto quanto farebbe pensare a un album di pirate HM, esattamente quello che non riesce più a fare, beninteso con i doverosi crismi, il progetto solista di Rolf Kasparek. Ops… i Running Wild! A partire dal concept, incentrato sulla storia della pirateria antecedente L’Isola Del Tesoro, il romanzo di Robert Louis Stevenson, sino ad arrivare al curatissimo digipak a tre ante e al booklet, stupendamente piratesco nelle sue sedici pagine seppiate, tutto pareva orientato in quella direzione. E invece… e invece no.
I Great Master con le storie legate ad arrembaggi e bandiere nere con il teschio in mezzo lavorano di fioretto, invece che di spada. O clava… La pulizia del loro suono e l’impatto delle stesse canzoni non si discosta dal solco della loro storia. Acciaio… ma di classe, sempre e comunque. Un gruppo con le loro potenzialità e dopo quello che hanno saputo dimostrare lungo quattro full length potrebbe permettersi una bella dose di ignoranza, quando serve. E di questa, sana esigenza, certuni pezzi di Skull And Bones avrebbero beneficiato, e anche parecchio. Ma la speranza dello scriba è destinata a rimanere tale, anche per quest’ultimo episodio discografico.
Nonostante qualche scossone nella line-up – al basso Massimo David e Stefano Sbrignadello alla voce – la formula proposta dai Great Master si conferma a metà fra L’Epic Metal di stampo elegante e il Power.
All’insegna della qualità media alta, come da copione nelle lande bagnate dalla laguna, Jahn Carlini & Co. inanellano episodi dal forte appeal quali “Shine On” ove, al di là del naturale accostamento per via del nome, ricordano i Riot lungo il ritornello. “War” scomoda i Labyrinth più eroici e l’accoppiata “A Hanged Man”/”The Black Spot” sigla l’highlight del disco, fra epica diffusa e ottimo songwriting. La titletrack, posta in chiusura, con i suoi “Ooohhhhhh…” si candida in pole position per essere degna chiosa in fase di concerto.
I Great Master, con Skull And Bones, consolidano la propria fama di band dalle idee chiare e ben focalizzate. La speranza, a questo punto, è che riescano a dare un seguito al loro profondo credo anche in sede live, da sempre il loro tallone d’Achille.
Stefano “Steven Rich” Ricetti