Recensione: Skycrest
Era un giorno qualunque del 1997, e stavo scartabellando fra i cd nel mio negozietto di fiducia quando il titolare (che da buon commerciante conosce bene i suoi polli) mi si avvicina consigliandomi l’album di esordio di tali Iron Savior, presentandomelo come un side project di Kay Hansen dei Gamma Ray.
In effetti sul retro copertina c’era la foto di gruppo con appunto Hansen, Thomas Stauch dei Blind Guardian ed un terzo individuo a me sconosciuto. Se a convincermi all’acquisto fu la presenza dei primi due, non è che quel terzo individuo fosse proprio un signor nessuno, anzi. Piet Sielck, infatti, oltre ad essere il mastermind degli Iron Savior, aveva già militato anni prima insieme ad Hansen negli Iron Fist, ovvero la prima incarnazione degli Helloween, decidendo poi di mettere momentaneamente da parte gli strumenti musicali e dedicarsi alla carriera di produttore discografico. Un lavoro decisaqmente proficuo peraltro, inpreziosito dai lavori di band del calibro di Gamma Ray, Blind Guardian, Saxon, Uriah Heep e Grave Digger.
Finché nel 1997 appunto, forse per una rimpatriata con l’amico Hansen, decide di tornare dall’altra parte della consolle e reclutato il bardo Stauck a completare la formazione, da vita al suo progetto musicale.
Gli anni passano e quando i suoi impegni di produttore glielo permettono, il buon Piet con la puntualità tipicamente tedesca continua a sfornare album con gli Iron Savior arrivando così fino ai giorni nostri: Hansen e Stauch non ci sono più e la creatura di Sielck ha ormai imparato a camminare da sola al punto che ogni sua uscita discografica è diventata sinonimo di power metal di qualità con il marchio della rinomata scuola di Amburgo. Ed ecco così che a un anno di distanza dal precedente “Kill Or Get Killed” arriva sugli scafali il nuovo “Skycrest“: registrato ai Powehouse Studio con la formazione invariata dal precedente full length e prodotto ovviamente dallo stesso Sielck.
Dopo l’intro dalle atmosfere futuristiche si parte subito in quarta con la title track: una ritmica energica apre la strada ad un brano diretto e potente che scandito dalle strofe cantate da Sielck culmina in un ritornello con una melodia indovinata di sicura presa sull’ascoltatore. Insomma, la classica opening track di un album degli Iron Savior!
Dopo quest’inizio promettente è ora della successiva “Our Time Has Come“: un riff di chitarra secco e deciso fa da preludio al vocione rauco di Piet che mischia grinta e melodia fino ad arrivare al solito coretto catchy a cui gli Iron Savior ci hanno abituati nel corso della loro carriera. “Hellbreaker” si presenta come un brano più cadenzato, così come la valida “Souleader“, introdotta dal basso di Jan Eckter che conferma il buon stato di forma della band. Infatti, come dichiarato da Sielck stesso, la formazione tedesca ha lavorato in serenità senza lasciare che esperienze negative accadute nell’ultimo periodo (come la pandemia di covid e la malattia del bassista Eckter) influissero sul songwriting.
“Welcome To The New World” è una canzone abbastanza standard, non brutta ma che sà un po’ di riempitivo. Le cose vanno meglio invece con la successiva “There Can Be The Only One“, un brano di buona fattura, così come la veloce “Silver Bullet“, sparata come un proiettile con chitarre affilate, ritmiche sostenute, assoli funambolici e grugniti di sottofondo. Se sentivate la mancanza di un inno alla nostra musica preferita sappiate gli Iron Savior hanno pensato anche a questo: “Rise The Flag” è il classico anthem che celebra il senso di appartenenza alla grande famiglia del metal. Sinceramente niente che non si sia già sentito, magari anche un po’ pacchiano ma comunque un brano divertente.
“End Of The Rainbow” è una canzone passabile ma che scorre via lasciando il tempo che trova per cedere lo spazio a “Ease Your Pain“, una ballad malinconica scritta e interpretata dal bassista Jan Eckter, che come accennato poco fa, è stato affetto da un cancro dal quale è fortunatamente riuscito a guarire. Questo è il racconto proprio di come ha combattuto e vinto questa sua battaglia personale.
Si arriva così alla conclusiva “Ode To The Brave“: un brano dinamico e coinvolgente che ci chiama a raccolta per l’headbanging finale prima dell’epilogo di questa nuova fatica targata Iron Savior.
Sicuramente questo “Skycrest” si propone come un buon disco power metal fedele alla linea tracciata dal gruppo di Sielck nel corso degli anni, con una buona produzione che scorre via piacevole senza ne togliere ne aggiungere niente a quanto già fatto nei lavori precedenti.
Non ci troviamo di fronte a grandi sorprese rispetto a quanto proposto dalla band nel corso degli anni, ma questo non è evidentemente un problema per nessuno: i fan sanno già cosa aspettarsi dagli Iron Savior e gli Iron Savior sanno cosa vogliono i fan. Tutti contenti come in un matrimonio perfetto.
Anzi, forse pure meglio: perché nel caso in cui ogni tanto vogliate rompere la monotonia potrete sempre cambiare cd.
Con una certa sicurezza, Piet Sielck non dovrebbe bastonarvi col mattarello, come farebbe invece vostra moglie se vi scoprisse con l’amante…