Recensione: Skyforger

Di Daniele Balestrieri - 1 Giugno 2009 - 0:00
Skyforger
Band: Amorphis
Etichetta:
Genere:
Anno: 2009
Nazione:
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83

La forgia di Ilmarinen brilla come un secondo sole nelle gelide profondità di Pohjola, il suo silenzio rotto dai lamenti di migliaia di servi curvi sotto il focolaio nel quale prende forma il prodigioso “Sampo“. Dalle radici infuocate ai rami distesi tra gli spazi siderali, il gigantesco albero della vita sorregge la volta celeste, getta ombra sull’umanità e si colora di un gelido blu sotto la tenue luce della stella del nord. La terra trema allorché l’orrenda Louhi, sradicato il possente artefatto, fugge nella sua fortezza rincorsa dal saggio Väinämöinen lungo un sentiero coperto di farina, sale ed oro.
Ilmarinen rimane solo, avvolto tra le nebbie dell’estremo nord, il cielo sgretolato sulla testa e i tetri rovi di Pohjola stretti attorno al cuore. In un momento di debolezza e di solitudine il fabbro degli dei decide quindi di donare alla sua esistenza una sposa dal cuore d’oro e dal corpo d’argento. Il mantice soffia un giorno, e un altro giorno ancora. Il terzo giorno il fabbro si affaccia tra ceneri incandescenti sperando di vedere un’immagine emergere dal metallo fuso. Si erse così una cavalla d’argento che prontamente venne respinta nel fuoco. Tre giorni dopo nacque una donna d’argento con i capelli d’oro. Il fabbro la depose su tre pelli d’orso e vi si coricò accanto, ma mentre la sua parte di letto bolliva di passione, la sposa trasformava in ghiaccio le vesti di cui era ricoperta.

“Non per me è nata questa vergine
dalla magia del metallo fuso;
Ascoltate, figli delle terre del nord:
che siate poveri o baciati dalla fortuna,
non inchinatevi dinnanzi a un simulacro
nato dall’oro e dall’argento;
mai quando il sole splende
mai quando la luna è alta in cielo.
Non scegliete la sposa d’oro e d’argento
perché fredde sono le sue labbra
e triste il suo respiro”.

Si sente a malapena l’eco di parole tanto struggenti che è già manifesta la sostanza di cui è composto Skyforger: prima ancora della musica, è la carica emotiva che trafigge il cuore dritta come un fuso. Scarsa è purtroppo la diffusione dei poemi storici finnici e pochi ascoltatori si curano del messaggio trasmesso di un disco, eppure grande cura è stata dedicata ai testi di questa nona fatica degli Amorphis. L’album è un ribollire di epos finnico e Joutsen ci getta ancora una volta tra le braccia di un Kalevala romantico e decadente.

Dopo l’eclisse che precederà la fine del mondo e il cigno di Tuonela (Tuonelan Joutsen in finlandese, un vero destino per il neocantante degli Amorphis), stavolta l’attenzione è rivolta prevalentemente alla figura dello sfortunato fabbro di Pohjola, Ilmarinen, e alle sue portentose creazioni. Gli Amorphis sanno esattamente il fatto loro: è dal 1991 che sono araldi incontrastati del feeling finnico tradizionale nel mondo del metal e a costo di giocare con il fuoco, hanno deciso ancora una volta di porre dei limiti strumentali alla propria creatività per rendere giustizia ai testi prescelti.
Come gli album derivati dalla Snorra Edda sono energici e spesso ironici, così gli album che si vestono dei colori tenui del Kalevala sono di norma più malinconici e in un certo senso più “autunnali”, per cui una “From the Heaven of my Heart” può essere liquidata a primo acchitto come una melensa e appiccicosa balladina per quattordicenni; in realtà basta un secondo sguardo consapevole per cogliere tra le sue note la struggente solitudine del bistrattato Ilmarinen, una bestia d’uomo tormentata dalla segregazione nelle oscurità spietate dell’estremo nord finlandese. Ma non è sempre con mestizie gotica che gli Amorphis dipingono il forgiatore del Sampo: “Il cielo è mio, questa spada è mia, il destino è mio, questo prodigio, anche lui è mio”: la passione palpitante che sprigiona dalle parole sussurrate nervosamente dal fabbro dopo la costruzione dell’aquila, la “Majestic Beast” con la quale conquisterà il cielo, sconquassa l’intera “Sky is Mine” e le dona un dinamismo sovrannaturale che dipinge con sonorità vibranti l’energia di cui è pregno quel runo del Kalevala.

I grandi musicisti devono anche essere grandi raccontastorie: un disco musicalmente perfetto ma privo di contenuti è un lavoro riuscito a metà, ma questo non è mai stato un rischio con i nostri sei eroi di Helsinki. Come nel caso di Tuonela o di Silent Waters, anche in Skyforger la musica è assoggettata al mood volutamente impresso all’opera, con in più quel tocco di folk che ne impregna l’atmosfera senza palesarsi completamente, come una sorta di colore di sfondo che emerge nei momenti più toccanti dell’album. Qualcuno avrebbe voluto tornare ai tempi di Eclipse, ma con Ilmarinen come fulcro del disco un album luminoso come Eclipse sarebbe risultato poco adatto e di cattivo gusto. Per rendere giustizia al frangente letterario scelto dagli Amorphis in questo 2009 era necessario creare un album che avesse l’immediatezza di Eclipse e il romanticismo più oscuro di Silent Waters. Grazie a un ventennio di esperienza è emerso uno Skyforger ancora fedele al sound degli Amorphis post-Koskinen, sufficientemente brillante nonostante l’assenza dei picchi energici di “The Smoke” o “Two Moons” e allo stesso tempo introspettivo e disperato senza sprofondare negli abissi di “Her Alone” o “The White Swan”. Parzialmente responsabile del successo di una simile alchimia è l’ugola di Marco Hietala, in prestito dai Nightwish, in grado di donare profondità encomiabile a brani come l’epica title-track o alla hit-singolo “Silver Bride” con cori di grande calore ed effetto. Ritornano trionfalmente anche il sassofono di Sakari Kukko e il pianoforte, strumenti che hanno reso celebre Tuonela e che tuttora aggiungono profondità e vivacità ai brani più emotivi di Skyforger.

Ci si sarebbe potuto attendere un cambiamento brusco dopo i due album precedenti, ma il successo della formula Joutsen deve aver posto un certo freno e credo che per qualche tempo gli Amorphis batteranno il ferro finché è caldo. Joutsen è un talento nato per trasmettere una pletora di emozioni ai brani: siamo tutti ben consci della sua notevole versatilità vocale e nonostante tutto sembra non sia stato giudicato necessario compiere l’ennesimo salto in chissà quale direzione. Tutto ciò che ha reso famosi gli Amorphis è ancora una volta tangibile: da alcuni sprazzi melodici vagamente orientaleggianti ai grandi riff heavy a supporto di un songwriting in cui si percepisce perfettamente la notevole esperienza negli studi di registrazione. Gli arrangiamenti sono sempre adeguati alle canzoni proposte anche se ritorna un problema che ultimamente ha segnato la loro produzione, ovvero delle cesure non particolarmente brillanti.
La chiave di lettura è, e rimane, il grande carico di storia e di tradizioni attorno al quale ruotano le varie scelte melodiche e liriche. Nella sostanza gli Amorphis rimangono sempre gli Amorphis, nessuna crisi d’identità e nessun grosso movimento, per cui l’album risulterà immediatamente riconoscibile sia ai fan più vecchi che a quelli più recenti. Il mordente non manca, le leggere influenze prog donate dal sassofono e quelle poweroidi scaturite dai cori presenti in maniera più massiccia rispetto al passato donano smalto al lavoro visto nella sua interezza; tuttavia non posso esimermi dal criticare la dannosa brevità dei brani, quasi tutti “one kill wonder” ai quali non guasterebbe un refrain in più o un paio di strofe di contorno.
Il climax si raggiunge sempre troppo presto, e in tre minuti quasi ogni brano ha già detto la sua e si accinge a raggiungere la sua fine, talvolta opaca e incolore. Con le strutture melodiche vincenti che possiede la maggior parte delle tracce di Skyforger, è un vero peccato raggiungere la fine del disco con l’impressione di aver sentito qualcosa di bello ma impalpabile, e di aver voglia di sentire qualcosa in più. Anche perché, se proprio vogliamo, fa parte dell’anima stessa del Kalevala una ripetizione ossessionante dei concetti e la costruzione lenta del climax epico tramite un crescendo lento e possente. Mi piacerebbe un giorno sentire le grandi collezioni di hit tipiche del nuovo millennio suonate con la filosofia di Elegy o Tuonela, e con un caratterista fenomenale come Tomi Joutsen, in grado di carezzare dolcemente in una canzone e di aggredire ferocemente in quella successiva, non dovrebbe rivelarsi un problema.

La popolarissima onestà intellettuale che da sempre caratterizza i nostri finnici, il songwriting sfarzoso e al tempo stesso diretto e la grande fruibilità che da tempo è leit-motif dei loro lavori rendono Skyforger l’ennesimo centro degli Amorphis, nel bene o nel male. I re mida senza forma sono tornati, lunga vita agli Amorphis!

Daniele “Fenrir” Balestrieri

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TRACKLIST:

1. Sampo
2. Silver Bride
3. From The Heaven Of My Heart
4. Sky Is Mine
5. Majestic Beast
6. My Sun
7. Highest Star
8. Skyforger
9. Course Of Fate
10. From Earth I Rose
11. Godlike Machine (bonus track)

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