Recensione: Slaughter Prophecy
Sembra giungere da un lontano passato questo “Slaughter Prophecy” nuova release dei true-metallers tedeschi, da sempre oggetto di scherno per i loro atteggiamenti alla Manowar e per la voce non esattamente eccellente del singer Gerrit Mutz. Un passato in cui il power metal non era quel genere melenso e melodico che tutti conosciamo, ma un matrimonio tra la velocità del thrash e la melodia del classic con tanta potenza e voglia di spaccare il culo.
Il disco in questione è il successore di “Wargods of Metal” e “Bloodlust”, dischi non esattamente ispirati, in quanto si limitavano a riproporre la potenza di bands quali Omen, Helstar e Accept con buona personalità. Ebbene, i Sacred Steel riescono a risollevare le loro sorti con un disco potente e feroce come questo “Slaughter Prophecy”, una vera macchina da guerra, costruito su ritmiche telluriche e incessanti e su melodie molto più dissonanti e malefiche che in passato, con evidenti influenze thrash (chi ha detto Slayer?). Fondamentale il lavoro svolto dai due axeman Grosshans e Knittel, che creano un rifferama incredibilmente aggressivo e spesso nuovo per i Sacred Steel, a tratti decisamente elaborato, insomma, un vero lavoro di classe, capace di ricordare le prodezze del duo Hanneman/King e la potenza di chitarristi come Tony Iommi nelle parti più potenti e cadenzate, dove salta fuori l’amore dei nostri per il doom metal. In generale, il feeling del disco lascia molto poco spazio alle facili melodie e abbraccia emozioni molto più cupe e tragiche, a tratti sataniche, e soprattutto è carico di una violenza impressionante, esplorata anche nelle arrabbiatissime lyrics, spesso di argomento anticristiano e occulto.
Peculiare la compresenza di stili: se la base rimane una commistione di power metal teutonico full/speed e di acide e taglienti citazioni di heavy a stelle e strisce d’annata, più volte fanno capolino stili più violenti come thrash e doom. C’è spazio persino per qualche frangente death metal! Peccato che tutte queste buone trovate siano spesso abbassate di profilo dalla prestazione vocale di un Gerrit Mutz in evidente miglioramento, ma ancora decisamente non all’altezza (anche se il nuovo contesto, molto più grezzo e violento dei precedenti, sembra essergli più adatto).
Il disco in pratica è una summa del metal più epico, violento ed immediato. Una ventata di freschezza in una scena come quella power che ha bisogno di lavori come questo per rivitalizzarsi e non dimenticare le sue origini. Troppo epico per essere catalogato come thrash e troppo violento per essere catalogato come power, questo è un disco per chi dal metal vuole emozioni forti e scariche di adrenalina gratuite, per chi insomma considera heavy metal quello degli anni ottanta, ma non disdegna neanche commistioni con la scena più estrema. Attendiamo con pazienza ulteriori sviluppi da parte di questa band sincera e che se ne frega altamente di non rientrare nei canoni, proponendo un metal sempre convinto e personale.
TRACKLIST:
1. The Immortal Curse
Breve intro rubata a un vecchio film horror…
2. Slaughter Prophecy
…che apre il disco all’insegna della violenza più pura: Mutz sperimenta riuscitissime growling vocals in un pezzo semplicemente devastante, un vero olocausto death metal che rimarrà però un esperimento, in quanto è l’unico ad essere cantato in growling, ma comunque lascia presagire un grande futuro per la band.
3. Sacred Bloody Steel
Anthem molto più classicheggiante e memore delle glorie del power tedesco, piacevole e scorrevole anche se estremamente massiccio
4. The Rites of Sacrifice
Pezzo già più cupo e violento, è comunque piuttosto aperto alla melodia nel chorus: la canzone però è decisamente banale, uno degli episodi meno riusciti del lavoro.
5. Raise the Metal Fist
Qui l’US metal e il doom si uniscono per creare un massiccio anthem dall’incedere marziale e drammatico, forse un po’ troppo lento ma decisamente originale. Un tentativo riuscito a metà, ma comunque apprezzabile.
6. Pagan Heart
Uno dei migliori episodi del disco: un riff veloce e particolare, un po’ Slayeriano e a tratti quasi black metal, guida una crudele canzone dalle tematiche (com’è facile intuire) anticristiane, vera perla di classe e violenza.
7. Faces of the Antichrist
Altro pezzo malvagio e crudele, violento e drammatico come sempre. Decisamente ottimi i riff di chitarra che lo guidano.
8. Lay me to my Grave
Pezzo che potrebbe sembrare una ballad, ma così non è perchè i nostri la trasformano in una cupa e sabbathiana marcia funebre, decisamente doomish e assolutamente tragica e disperata. Altro highlight da ricordare, stracarica sia di odio che di malinconia.
9. Crush the Holy, save the Damned
Probabile anthem dei futuri concerti della band, è un pezzo davvero violento e possente, anche se molto power e orecchiabile.
10. Let the Witches Burn
Pezzo meno ispirato che segue a grandi linee i dettami dell’album, lascia il tempo che trova.
11. Invocation of the Nameless Ones
Lunga e ossessiva suite di Lovecraftiana memoria, qui i Sacred Steel sfogano tutto il loro amore per il doom e l’epic con una song potente e drammatica, estremamente violenta e cupa a tratti, non memorabile ma comunque decisamente buona.