Recensione: Slaughtered – Defiled – Dismembered
Davvero difficile credere che i tedeschi Graveyard Ghoul abbiano in mano un contratto discografico, seppure con una micro-label come la Go Fuck Yourself Productions. Incredulità che diventa palpabile quando si scopre che “Slaughtered – Defiled – Dismembered” è il terzo full-length di una carriera iniziata nel 2011 (“Tomb of the Mouldered Corpses”, 2012; “The Living Cemetery”, 2014).
Le motivazioni alla base di queste affermazioni non sono poi così complicate, da elaborare. In estrema sintesi, basta osservare che “Slaughtered – Defiled – Dismembered” sembra in tutto e per tutto il demo-tape d’esordio di una band di metal estremo, proveniente dalla prima metà degli anni ottanta.
Il guazzabuglio sonoro che rappresenta la sfilata di song da ‘Mouldered to Madness’ a ‘Into Abyssal Spheres’ è davvero difficile da mettere a fuoco, talmente è scarso il livello tecnico/artistico della formazione teutonica. Passi il sound terribilmente grezzo e dilettantesco del platter. Ci può stare. I Graveyard Ghoul, del resto, fanno old school death metal. Quindi è normale aspettarsi un suono putrefatto, marcio, stantio. Rozzo, involuto, primordiale. E così è. Tuttavia, dal punto di vista dello stile, i Nostri fanno parecchia fatica a individuare una linea di pensiero unitaria: a volte sembra thrash (‘Necrocult’), a volte doom (‘VHS’) e a volte, appunto, death (‘Slaughtered – Defiled – Dismembered’).
Ma è l’elementarità dell’esecuzione che, in primis, sorprende. Davvero, sembra impossibile che, nel 2016, ensemble dai mezzi tecnici così poveri riescano ad arrivare a incidere dei dischi ufficiali. Per ciò, è sufficiente porre attenzione sul drumming di Tom “Tyrantor” Horrified, talmente caotico e sconclusionato da essere inintelligibile.
Purtroppo per loro, nessuno si salva. Né la chitarra, a livello dei primi esperimenti in merito di Thomas Gabriel Fischer dell’era-Hellhammer (1982), quando si faceva chiamare Satanic Slaughter, con tutto il rispetto parlando; né il basso, le cui linee sono sequenze di semplici pulsazioni che, probabilmente, sono quelle che s’imparano a scuola per prime ; né tantomeno la voce, che, più che cantare, parla.
In una povertà di mezzi simile, è difficile anche intravedere la struttura del songwriting. Ma, spesso, se talento e preparazione tecnica, e razionale inventiva vanno spesso insieme a braccetto, è pur vero anche il contrario, come dimostrano le canzoni di “Slaughtered – Defiled – Dismembered”. Anche intestardendosi ad ascoltarle più e più volte, difatti, fra tutte non ne rimane in testa nessuna. Resta solo un imbarazzante senso di arretratezza e di disorientamento.
Non potevano allinearsi al livello del resto anche i testi, sfilza infinita di cliché triti e ritriti, e l’artwork, banale come non mai, ma almeno realizzato in maniera professionale.
Unica cosa, quest’ultimo, che si salva da un naufragio totale.
Daniele D’Adamo