Recensione: Slip of the tongue

Di Ares982 - 21 Novembre 2003 - 0:00
Slip of the tongue
Band: Whitesnake
Etichetta:
Genere:
Anno: 1989
Nazione:
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85

I serpenti volano sulle ali della tempesta?
Se sono bianchi e portano la firma di David Coverdale e Steve Vai, la risposta è si.
Slip of the Tongue è l’ennesimo capolavoro della band del rettile albino, che questa volta si fregia della collaborazione dell’autore di Passion and Warfare, a sostituire l’infortunato Adrian Vandenburg, comunque padre di 9 delle 10 song dell’album. La line up è completata, oltre che dall’ugola dorata di Coverdale, da Rudy Sarzo al basso e Tommy Aldridge alla batteria.
Il disco si apre con la title track, Slip of the Tongue che vede il nuovo axeman menare fendenti sonori con i power-chord usciti dalla sua 7 corde e mostrare subito tutta la sua energia sonora con un funambolico assolo. Coverdale non tarda a rispondere alla sfida, con una rock’n rolleggiante Cheap and Nasty che sembra rubata a Slide it In, e sopratutto con l’ottima prova fornita con Fool for your Loving, che risorge da Ready An’ Willing in tutta la gloria con cui Steve ha saputo impreziosirla.
La prima ballad dell’album, Now you’re gone è semplicemente stupenda, con la chitarra che si sovrappone struggente alle linee vocali di David e si libera verso la metà del secondo minuto in uno degli assoli più emozionanti che conosca, nonostante la sua geniale semplicità. L’album riaccende il turbo in Kittens got Claws, in cui l’Ibanez di Vai graffia e scalpita in questa song forse troppo semplice, ma dal notevole impatto.
Il vero capolavoro del disco tuttavia risiede nella epica Wings of the Storm, che sfrutta ogni singola nota suonata dalla band per trasmettere energia allo stato puro. La sezione ritmica, con un Aldridge fuori di se e le ottime linee di basso di Sarzo, accende la bomba Vai-Coverdale, ed è una continua salita verso la tempesta, uno scivolare funambolico tra scale fulminee e cieli plumbei, in cui vi sembrerà di essere alla guida di un F-16 gettato all’inseguimento di un Serpente Bianco.
Ma non lo prenderete mai, perchè lui cavalca sulle ali della tempesta.
La successiva metà dell’album vede spegnersi leggermente l’entusiasmo delle precedenti tracce, forse a causa della seconda ballad dell’album, The Deeper the Love, che forse manca un po di originalità, senza comunque far mancare la sostanziale perizia canora di Coverdale. Il sound si incattivisce con Judgement Day, song che marcia inarrestabile verso un ritornello solido e potente, forte della notevole emozionalità della voce di David, mentre la chitarra di Steve Vai diventa quasi Youngiana nella track successiva, Slow Poke Music, per inebriarsi a metà canzone di una tonalità decisamente più Heindrixiana. L’ultima canzone del disco, Sailing Ships ristabilisce una dolce calma, con Coverdale e Vai che, soli all’inizio, crescono pian piano verso l’esplosione sonora a cui prendono parte Sarzo e Aldridge, per finire con la voce di Coverdale lanciata verso le stelle.
Questo classico e fantastico album targato Whitesnake non può assolutamente mancare nella collezione dei fans della band di Coverdale, in quella degli ammiratori di Steve Vai, che qui scopriranno nuovi lati dell’incredibile artista, e nemmeno in quella di tutti gli appassionati hard rock, di cui Slip Of The Tongue rappresenta sicuramente una delle perle più pure.
Ora entrate nel vostro F-16 e provate a inseguirli nella tempesta…

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