Recensione: Slowly We Rot

Di Nicola Furlan - 16 Febbraio 2007 - 0:00
Slowly We Rot
Band: Obituary
Etichetta:
Genere:
Anno: 1989
Nazione:
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85

E’ nato a cavallo tra gli anni ottanta e novanta. E’ il cosiddetto death metal “Made in Florida”. Varie sono state le band che si sono accostate al genere e poche non hanno avuto successo al primo colpo. Un momento storico quindi, ricco di ispirazione e fertile di iniziative artistiche azzeccate.
C’è anche da dire, ad onor di memoria, che tra i precursori del genere non vengono annoverati nomi da poco: si pensi che i primi input compositivi furono innescati da realtà più underground come Morbid Angel o da altre già sulla piazza come Death – che al tempo avevano già immesso sul mercato un semi-masterpiece come
Leprosy (1988).

Nasce quindi da un humus artistico intriso di acida violenza espressiva questo Slowly We Rot, debut album del combo americano. Un songwriting che pesca non solo da ciò che le succitate band stavano seminando, ma anche dai rimasugli di datate reminiscenze thrash che tanto hanno caratterizzato la scena della musica estrema americana. Sia ben inteso che ciò che prevale qui è decisamente la tendenza a sviscerare ogni tensione sonora repressa, ogni potenziale violenza pulsante, ogni degrado sonoro del puro death metal.

Lontano concettualmente da ogni successiva produzione, il disco si dimostra veloce, diretto e grezzo, sintomatico degli esordi del genere: uso smisurato della doppia cassa e veloci ritmiche iper distorte sugli alti. Sia dall’approccio compositivo che da quello produttivo – per mano di un certo Scott Burns, al lavoro anche con Suffocation, Death, Pestilence, Cannibal Corpse e chi più ne ha più ne metta – il full length emerge per la sua diretta e marcia attitudine sonora.

Elemento identificativo fin dalle prime battute è l’inconfondibile voce di John Tardy, ordinario honoris causa in materia di growl profondo e liberatorio. Da annotare inoltre l’incalzante ritmica sostenuta da Daniel Tucker in eccellente sinergia a
Donald Tardy.

Non aspettatevi un suono curato né pesantemente oscuro, come poi si incontrerà nei vari
Cause of Death (1990) o The End Complete (1992), qui ciò che deve emergere è ben altro. La produzione mette l’accento sulla ruggine del colpo d’ascia atto a spaccare qualunque materia si interponga tra il cono di cassa e chi ascolta. Disponibilità di budget a parte, la scelta adottata è quanto di meglio potesse esserci per valorizzarne appieno i marci contenuti.

È un album importantissimo, sia come punto di partenza storico che a livello di cultura attuale perché costituisce un fermo punto cui fare riferimento per l’intera scena death metal floridiana. Death metal primitivo e diretto, un’anarchia musicale senza il benché minimo compromesso. Che il massacro abbia inizio.

– nik76 –

Tracklist:

01 Internal Bleeding
02 Godly Beings
03 ‘Til Death
04 Slowly we Rot
05 Immortal Visions
06 Gates to Hell
07 Words of Evil
08 Suffocation
09 Intoxicated
10 Deadly Intentions
11 Bloodsoaked
12 Stinkupuss

Line up:

Trevor Peres – Guitar
Donald Tardy – Drums
John Tardy – Vocals
Daniel Tucker – Bass
Allen West – Guitar

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