Recensione: Smakk Valley
È già fuori da qualche mese, ma non pare esserci periodo dell’anno più adatto di quello attuale per l’ascolto di un album come “Smakk Valley”, decima uscita discografica degli svedesi Psychopunch, cult band decisamente underground dalla lunga e rispettabile carriera.
Non c’è niente di meglio, in una torrida giornata di canicola estiva, del rinfrescarsi (si fa per dire), al ritmo di un po’ di punk rock scanzonato, divertente e privo di pensieri. Magari non adatto per dibattiti tecnici o disquisizioni stilistiche eppure, come la più banale delle birre servite dal frigorifero, piacevole da buttar giù tutto in una sorsata.
Chi conosce la rombante combriccola guidata dal vocalist e chitarrista JM, avrà già una vaga idea di quanto reperibile nell’ennesima fatica discografica prodotta nell’arco di quattordici anni di militanza: rock n’roll brioso e dinamico, rinforzato da ritornelli quanto possibile di facile assimilazione ed un taglio che si mantiene in perfetto equilibrio tra l’hard n’roll di tipica scuola scandinava (i soliti: Hellacopters, Gluecifer, primi Hardcore Superstar), il punk alla Ramones / New York Dolls ed il surf rock d’importazione americana, che tanto fa “college” a stelle e strisce e ben si adatta ad una ipotetica pellicola a soggetto studentesco.
Talora spigoloso e scalciante, molto spesso ai confini del rock n’roll da party: in ogni modo, sempre e comunque parecchio orecchiabile e “facile”, diretto come da tradizione Psychopunch ed arricchito da testi non proprio impegnati ed indicativi di particolari elucubrazioni filosofiche.
Possiamo dirlo senza troppe remore: pur privi di originalità, stereotipati sino all’ossessione, simili a mille altri e lontani dal poter divenire davvero dei “Big” nonostante la lunga e perseverante presenza sulle scene, a noi gli Psychopunch piacciono proprio per questo. Per il modo quasi “fumettesco” di intendere la loro attività di musicisti (sempre caratteristiche le colorate cover dei loro album), per il non volersi mai prendere troppo sul serio e per la volontà, evidente, di distrarre l’ascoltatore con una bella “botta” di musica veloce e divertente che consenta di spegnere il cervello per una mezz’oretta e godere di chitarre saettanti, cori elementari ed un bel po’ d’energia.
Certo è che, se il songwriting del quartetto riuscisse a mantenersi con frequenza sui livelli di un trio di brani quali “My Empty Head”, “Sitting By The Railroad” e “Last Night”, la strada potrebbe essere probabilmente costellata da qualche possibile successo in più o comunque, baciata da un livello di popolarità maggiore rispetto al risicato confine “sotterraneo” in cui rimane confinata tutt’ora, nonostante il recente – e comunque meritato – deal con la rinomata SPV / Steamhammer.
I dischi degli Psychopunch sono i classici prodotti che non cambiano la vita e che, dopo qualche anno dalla loro pubblicazione, si reperiscono per pochi euro in saldo presso i grandi mailorder internazionali.
Sono album però che, nonostante una manifesta e sanissima “ignoranza” (come diciamo sempre, di quella “buona”), risultano al solito graditi, piacevolmente adatti per un po’ di caciara estiva ed un ascolto a tutto volume in auto.
Nonostante la pubblicazione risalente allo scorso inverno, una buona colonna sonora per chi, quest’anno, potrà permettersi un po’ di spensierata vacanza in qualche posto allegro e soleggiato.
Discutine sul forum nella sezione Hard Rock / Aor!