Recensione: Smash Atoms

Di Fabio Vellata - 17 Ottobre 2024 - 8:00
Smash Atoms
Band: Smash Atoms
Etichetta: M-Theory Audio
Genere: Grunge  Hard Rock 
Anno: 2024
Nazione:
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77

Per una volta, all’interno di una recensione dedicata all’hard rock non andiamo a ritroso sino agli anni ottanta. Ci fermiamo un po’ prima. Agli albori degli anni novanta, per la precisione.
Gli Smash Atoms, band svedese fondata più di un decennio fa dal chitarrista Martin Söderqvist ma solo ora all’esordio, sembra provenire esattamente da quell’epoca.
Per chi ancora se lo ricorda, possibilmente con piacere, il periodo in cui entravano in scena con prepotenza gli Alice in Chains di “Facelift” e “Dirt” ed i Soundgarden di “Badmotorfinger”. Ovvero il versante più heavy e corazzato del grunge di Seattle.
Quello che, detto in confidenza, abbiamo personalmente sempre apprezzato molto.

Un misto di nostalgia con suoni che nel frattempo sono diventati classicamente moderni, fondendosi nelle varie derivazioni alternative metal sorte nel frattempo. Deftones, QOTSA, Disturbed ed in parte i Korn, sono stati tutti a vario titolo figliocci del tanto vituperato Seattle sound.
Stile, attitudine ed una certa pesantezza che non è stato poi raro riscontrare anche in moltissimo stoner prodotto negli anni successivi. Un genere posto alla confluenza tra l’immaginazione psichedelica degli anni settanta ed i suoni duri, rugginosi e taglienti proprio del maledetto grunge. Ascoltare “Searching with my good eye close” del fenomenale “Badmotorfinger” e ritrovare moltissimi germogli dell’attuale desert rock non è affatto bizzarro. A dispetto della provenienza tutt’altro che desertica di chi lo ha concepito.

Ecco, gli Smash Atoms, novelli archeologi dell’epopea grunge anni novanta, vanno alla ricerca proprio di quell’attitudine un po’ bistrattata che in tanti (chissà poi perché) vorrebbero pure dimenticare. Mettendo in musica delle visioni scavate, rocciose, pesanti e cadenzate che sembrano proprio voler ricalcare gli Alice in Chains dei primi due (leggendari) dischi. Ed aggiungendo qualche riverbero dei fondamentali Melvins nell’accordatura tipica delle chitarre.
Brani per lo più lenti, ritmati, fangosi ma comunque dotati di un buon senso melodico. Difficile ritrovarci una nuova “Man in the Box” o “Rooster“, pur tuttavia in passaggi ben strutturati come “Buried Under the Open Sky”, “Down“, “Bring the River” e “Into the Light” c’è da complimentarsi. Sembra davvero di riassaporare le atmosfere della piovosa e depressa Seattle del 1991.
Quello che poi piace in particolare, è l’anima più intimista che emerge da canzoni come “End of the Road” e “Sunshine”. Per completare l’opera, un po’ di Pearl Jam e la vena acustica sempre degli AiC. In questo caso di “Jar of Flies“.
Buon merito per la resa, ascrivibile anche al frontman statunitense Glen Gilbert. Evidentissime alcune affinità con il compianto Layne Staley.

Insomma, chi avrà avuto la pazienza di leggere sino a qui avrà senza dubbio inteso come comportarsi nei confronti di questo buon esordio della band nordica.
Se per qualche strano motivo siete tra coloro che, come il sottoscritto, sono convinti che il grunge sia stato ben altro che tempo perso, potrete ottenere sensazioni decisamente positive dall’ascolto di Smash Atoms.
C’è energia, un alto livello di ascoltabilità e qualche buona idea. Per essere un’operazione di riscoperta di toni vintage, si apprezza per il profondo amore che dimostra nei confronti di un periodo musicale a volte considerato trascurabile e contradditorio.
Per chi quegli anni li ha vissuti e li rammenta comunque in modo positivo, un ascolto piacevole con effetto nostalgia assicurato.

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