Recensione: Smut Kingdom

Di Marco Tripodi - 2 Giugno 2018 - 8:00
Smut Kingdom
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2018
Nazione:
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76

Ci sono rimasto molto male quando attorno al 2007 i Pungent Stench hanno annunciato lo scioglimento. “Ampeauty” era uscito già da tre anni e i tempi sembravano maturi per un suo successore, invece Wank e Schirenc gelarono la propria audience mettendo fine ad una delle esperienze più sgangherate e perverse che la storia musicale austriaca (ed oltre) ricordi. Col senno di poi apprendiamo che i due avevano in realtà già confezionato un album da proporre a una nuova label per un contratto. Svincolatisi da qualsiasi obbligo con la Nuclear Blast, gli Stench erano alla ricerca di una nuova partenership ma qualcosa – presumibilmente tra i due comprimari – deve essere andata storta e le strade si sono divise. Che ci fosse ruggine è evidente anche dal fatto che negli anni a seguire Rektor Stench e Don Cochino si siano battagliati a colpi di avvocati per la detenzione e lo spaccio del monicker che li aveva visti riuniti sin dal 1988. Schirenc ha portato avanti il suo progetto Zombie Inc., oltre ad esibirsi dal vivo come Schirenc Plays Pungent Stench.

Come per magia, riacquisiti i diritti sulla propria discografia, pure i rapporti tesi si sono allentati e la coppia ha ritrovato la sintonia perlomeno sulla riedizione dell’intero catalogo, affidata a Dissonance Records, che infatti sta ristampando tutto in ottime edizioni riviste e corrette, corredate di tonnellate di materiale extra. Ma la vera chicca dell’intera operazione è l’offerta del famoso album inedito e rimasto nel cassetto dal 2007. Schirenc e Wank lo avevano registrato e mixato (anche se forse non era una versione proprio definitiva), e con quel materiale andavano bussando agli uffici delle label in cerca di vantaggiose condizioni contrattuali. L’acquolina alla bocca sapendo che esistevano 10 nuovi pezzi degli Stench era tanta e finalmente, grazie a Dissonance, possiamo scoprire come stavano evolvendo gli Stench all’indomani di “Ampeauty“. Non so dire se quest’opera di ristampa, unita alla pubblicazione di un intero album di inediti, possa preludere addirittura ad una ripartenza della band (magari!), ma certamente intanto possiamo goderci nuovo materiale del gruppo e dismettere il nostro abito nero da vedove inconsolabili.

Smut Kingdom” (letteralmente “l’impero delle oscenità”) non rivoluziona lo stile e la personalità degli Stench, semmai aggiunge qualcosa al calderone anarchico costituitosi nell’arco di un ventennio e attraverso 5 studio album e qualche ulteriore bizzarria, sotto forma di EP e compilation varie (“Dirty Rhymes And Psychotronic Beats“, “Praise The Names Of The Musical Assassins“), che sarebbe un delitto trascurare. Gli auto nominatisi “assassini musicali” mettono in piedi il consueto teatro di nefandezze e sconcerie (basta scorrere i titoli per farsi un’idea delle tematiche affrontate), tanto a livello lirico quanto strumentale. La prima impressione è che la band sia tremendamente in palla; l’album ha tiro, grinta, trasmette convinzione e determinazione, dunque perché il giorno dopo averlo registrato tutto sia stato mandato in vacca rimane un mistero. Accanto a canzoni tipicamente Stench oriented (“Persona Non Grata“, “Devil’s Work“, “King Of Smut“, “I Require Death Sentence“) troviamo divagazioni assai interessanti, considerando la provenienza. La opener “Aztec Holiday” sta ai Pungent Stench un po’ come il songwriting di “Swansong” sta ai Carcass; una vena insolitamente melodica e malleabile che, data la posizione che occupa in scaletta, sembra voler far presagire ad una svolta sirprendente. Non sarà così, ma quel pezzo rimane un manifesto iconoclasta a firma Pungent Stench. Altrettanto bizzarra è “Brute“, piaciona e variergata, che mostra quanto possa essere in realtà ricca la tavolozza di sfumature pittoriche degli austriaci (talvolta accusati di ripetere sempre lo stesso giro di giostra). “Suicide Bombsheel” è una roba svaccata e squinternata che si configura chiaramente come un divertissement della band. Notevolissima “Opus Dei” che – assieme alla già menzionata “Brute” – si attesta ai vertici dell’album. “Me Gonzo” è un altra “classica” intemerata alla Pungent Stench, mentre la conclusiva “Planet Of The Dead“, pur senza sfigurare, è forse il momento più debole del  platter.

A conti fatti questo ulteriore capitolo nella discografia dei Pungent Stench ci voleva. “Smut Kingdom” è valido e divertente, e soprattutto, come detto, mette in evidenza una band molto lucida, sul pezzo, assolutamente in grado di proseguire per diversi anni a venire (avendone la volontà). Ad impreziosire l’impepata di cozze (avariate) ci sono ospiti illustri come Steve Broi dei Mentors e L-G Petrov (su “Suicide Bombshell“) e Kam Lee (su “Devil’s Work“). Se si rivelerà effettivamente il testamento discografico dei deathsters asburgici, sarà un bel modo per chiudere la loro epopea del disgusto. Per i fans degli Stench l’acquisto si fa dunque obbligato, per il resto del pianeta rimane di primaria importanza accaparrarsi innanzitutto le ristampe della Dissonance e a quel punto, già che ci siete, mica mi vorrete lasciare “Smut Kingdom” abbandonato nel carrello senza completare l’opera? Dai, andiamo!

Marco Tripodi

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