Recensione: Snakebite
Da qui comincia ufficialmente, moniker compreso, la grande avventura degli Whitesnake. “Snakebite”,disco qui oggetto di recensione, a tal proposito rappresenta il primo vero test del sound che sarà poi marchio di fabbrica inconfondibile negli anni a seguire. La line up presente in questo platter sostanzialmente non cambia di molto rispetto alla precedente prova, “Northwinds”. Qui ritroviamo musicisti di ottimo livello come: Micky Moody alla chitarra, Bernie Madsen sempre alla chitarra, il sempre bravo Neil Murray al basso, David Dowle alla batteria e Pete Solley alle tastiere. Questo disco, inizialmente uscito come Ep, presenta alcune particolarità che lo rendono curioso e interessante allo stesso tempo. Innanzitutto “Snakebite” è prodotto da uno dei più importanti e geniali prodottori di hard’n’heavy come Martin Birch. Questo particolare è importante, dato che grazie alla sua opera, nello specifico in questo disco, il sound degli Whitesnake godrà di un maggiore impatto. Secondariamente dietro la lavorazione di questo disco ci sono alcuni aneddoti che possono risultare interessanti per il lettore. Inizialmente, infatti, le registrazioni di questo Ep dovevano servire come base musicale di un film soft porn, dove gli stessi Whitesnake avrebbero dovuto prendere parte suonando in playback alcuni brani ivi contenuti. Il film non venne mai prodotto ufficialmente (si sa però che circolarono alcune copie pirata, o bootlegs se preferite, per un certo periodo) , ma alcune sequenze di quel filmato vennero immortalate nella versione inglese del disco. Già questo potrebbe bastare per creare quell’alone di mistero e leggenda attorno a “Snakebite”. Ma passiamo all’analisi del disco. Platter che possiamo teoricamente scindere in due parti distinte. Infatti quattro traccie dell’album compongono quella che fu la prima stampa del disco, mentre le restanti tracks sono sostanzialmente le songs contenute in “Northwinds”. Il risultato è un lavoro nel quale la robustezza hard rock si combina alla perfezione e sicuramente con maggiore equilibrio che nel precedente album.
Apre le danze “Come on”, brano costruito su un roccioso e piacevole riff portante. La voce di Coverdale è pulita e potente e la sezione basso/batteria costruisce trame ritmiche precise e coinvolgenti.Un bell’assolo, melodico e trascinante, donerà ulteriore gradevolezza ad una track di sicuro effetto sull’ascoltatore. La successiva “Bloody Mary” è un brano frizzante dove il lavoro chitarristico si amalgama bene con il buon lavoro al pianoforte di Solley. Ben costruito il refrain principale, dove Coverdale dà sfoggio di una carica vocale davvero invidiabile. Interessante caratteristica di questa track è la capacità di miscelare il groove bluesy con l’adrenalina dell’hard rock, il tutto però senza che nessuno dei due stili musicali “scavalchi” l’altro. Anche qui l’assolo svolge un ruolo importante all’interno del pezzo, aggiungendovi un tocco di ulteriore vivacità.
Un morbido e suadente riff blues ci introduce all’ascolto della seguente “Ain’t no love in the heart of the city”. Qui la voce di Coverdale si fa quasi sofferta e, grazie al pregevole lavoro alle chitarre del duo Moody/Madsen, dona un tocco di romantico decadentismo al brano nel suo insieme. Segue la stessa linea melodica anche i solos, che qui assumono toni “lirici” molto suggestivi. Una chitarra slide “sporca” ma quanto mai accattivante nell’eseguire un riff blues introduce la successiva “Steal Away”. Questa song si svolge lungo tempi medi e ciò permette alla sezione basso/batteria di sottolineare notevolmente il loro apporto costruendo ritmiche cadenzate ma efficaci. L’unica pecca del pezzo, forse, è l’eccessiva ripetività del tema fondamentale della song che, anche se ben eseguito dai due guitar men, senza alternativi sbocchi melodici richia di stancare un po’.
Proseguendo arriviamo alla seconda parte del platter, ovvero i quattro brani di “Northwinds”. Cominciando dalla accattivante “Keep on giving me love”, dove l’amore smodato di Coverdale per il blues esce allo scoperto in tutto il suo splendore, proseguendo con la persuasiva “Queen of the hearts” (dove non possono non conquistare le improvvise incursione elettrice del buon Moody), passando per il lirismo quasi zeppeliano di “Only my Soul” e concludendo con la incontenibile grinta hard rock (in forte odore purpleiano) di “Breakdown”.
In conclusione questo “Snakebite” è un disco da collezione, certo, ma sicuramente importante punto di partenza per conoscere a fondo l’essenza del sound degli Whitesnake. Ne consiglio caldamente, quindi, l’ascolto.
Tracklist:
01. Come on
02. Bloody Mary
03. Ain’t no love in the heart of the city
04. Steal away
05. Keep on giving me love
06. Queen of hearts
07. Only my soul
08. Breakdown
Line Up:
David Coverdale (vocals)
Micky Moody (guitar)
Bernie Marsden (guitar)
Neil Murray (bass)
David Dowle (drums)
Pete Solley (keyboards)