Recensione: Snowfall on Judgment Day
Li avevamo lasciati due anni fa con la pubblicazione del terzo full length della carriera, The Origins Of Ruin, un disco parzialmente riuscito che univa brani di valore assoluto (come Memory o la breve ma concisa title track) con filler abbastanza trascurabili. Era un periodo d’oro per i Redemption, band formatasi nel 2001 per volontà del chitarrista e compositore Nicholas Van Dyk: sulla scia del clamoroso successo raccolto da The Fullness of Time, secondo studio album pubblicato nel 2005, il gruppo californiano era riuscito a calamitare su di sé l’attenzione della più importante etichetta del settore (la Inside Out, specializzata in progressive rock e metal), aveva confermato le proprie potenzialità con il già citato The Origins of Ruin, e infine si era lanciata in una proficua attività live (prima di supporto ai Dream Theater nella parte americana del Chaos in Motion tour, poi al ProgPower festival, con una esibizione documentata nel controverso Frozen in the Moment – Live in Atlanta, pubblicato lo scorso aprile). Insomma, è un gruppo assolutamente in salute (almeno dal punto di vista musicale) quello che ci arriva nel settembre del 2009, data di uscita del quarto album del sestetto americano, intitolato Snowfall on Judgment Day e pubblicato ancora una volta dalla Inside Out Music.
Varie cose sono cambiate dal punto di vista stilistico rispetto al precedente The Origins of Ruin. Per cominciare, forse la cosa più evidente, segnaliamo l’ingresso in formazione in pianta stabile di Greg Hosharian alle tastiere, presente anche sul precedente Frozen in the Moment – Live in Atlanta (anche se solo in veste di turnista) e ora membro a tutti gli effetti del gruppo: questa cosa si traduce in un diverso utilizzo delle tastiere all’interno del disco, più presenti, varie e organiche rispetto ai dischi passati (ma mai eccessivamente pompose o invadenti). A questo si aggiunga la decisione di virare verso un sound mai così duro in precedenza (sentire per credere i rocciosi riff di chitarra ad opera della solita coppia Bernie Versailles e Nicholas Van Dyk), oltre alla scelta di voler rendere un po’ più semplici e dirette le strutture delle singole canzoni: il risultato che ne deriva sono una decina di brani assolutamente compatti, assimilabili fin dai primi ascolti (talvolta anche orecchiabili in alcune occasioni), ma sempre decisamente ispirati e ben congegnati. Discorso a parte merita il cantante Ray Alder, frontman estremamente dotato, che nel corso degli ultimi anni ha visto ridursi ampiamente la propria estensione vocale (cosa già notata sul precedente full length e drasticamente confermata sul live di recente pubblicazione) e che, di conseguenza, ha decisamente cambiato il proprio approccio alle canzoni, limitando l’utilizzo di tonalità alte e concentrandosi maggiormente sulle parti votate all’interpretazione: il risultato è assai diverso dagli alti standard qualitativi raggiunti, ad esempio, sulla celeberrima Parker’s Eyes, ma rimane nel complesso comunque molto gradevole.
Come già detto, sono dieci le tracce che compongono questo Snowfall on Judgment Day per una durata complessiva che si attesta sui settanta minuti circa. A differenza del disco precedente bisogna senz’altro sottolineare come in questa uscita tutti i brani si attestino su livelli qualitativi mediamente alti, con una manciata di pezzi forse più riusciti degli altri, ma senza filler o repentini passi falsi. Uno degli episodi migliori può senza dubbio essere considerato l’opener Peel, abbastanza classico nel suo intreccio tra tastiera e chitarra e con delle linee melodiche particolarmente azzeccate. Sugli stessi binari (con qualche distinguo) rimane più o meno la successiva Walls, mentre la seguente Leviathan Rising si riallaccia come coordinate stilistiche alla massacrante The Death of Faith and Reason comparsa sul precedente full length: ritmiche martellanti, riff granitici e un refrain melodico al punto giusto scandiscono infatti i sei minuti e mezzo di questa canzone, tra sfuriate improvvise e sensuali aperture melodiche. Il capolavoro del disco risponde invece al nome di Black and White World, un pezzo estremamente emozionante grazie ad un intenso crescendo posto nella parte conclusiva del brano, e a una prova maiuscola offerta in quest’occasione dal cantante Ray Alder: inutile cercare i punti di contatto con Sapphire o Memory, non ne troverete più di tanti, a partire dal lieto fine che ci viene offerto in questa occasione e per finire con l’utilizzo di melodie più ariose e meno malinconiche rispetto ai dischi precedenti. Molto riuscita anche What Will You Say?, potenziale singolo radiofonico, canzone molto lineare ma decisamente orecchiabile, e con un ottimo assolo posto nella seconda parte del disco. Come tralasciare inoltre l’ottima Another Day Dies, brano che vede la partecipazione di James LaBrie (cantante dei Dream Theater) davvero molto ben interpretato dai due cantanti in questa occasione, decisamente compatto e assai coinvolgente. Rimane l’amaro in bocca per la conclusiva Love Kills Us All / Life in One Day, brano decisamente pretenzioso e dagli spunti estremamente interessanti ma che manca purtroppo di organicità: la canzone risulta infatti abbastanza dispersiva (complice anche un minutaggio assai elevato, con i suoi quasi undici minuti di durata), poco incisiva e destinata a finire nel dimenticatoio dopo pochi ascolti. Un’occasione persa, quindi. Un discorso a parte merita invece la straziante Keep Breathing, dedicata a Parker Van Dyk (ricordate Parker’s Eyes?), figlia del mastermind e chitarrista del gruppo, colpita da un raro e incurabile caso di distrofia ai coni (cellule fotoricettori presenti nella retina oculare) che le causerà una diminuzione delle capacità visive per il resto della vita: davvero molto toccante anche la dedica posta a questo riguardo alla fine del disco.
Quindi che altro aggiungere? Ci troviamo di fronte non a un capolavoro ma sicuramente a un disco estremamente godibile, assolutamente interessante e davvero ben suonato. Certo, siamo ancora abbastanza distanti dalle vette raggiunte quattro anni fa sull’ottimo The Fullness of Time (tuttora il lavoro migliore pubblicato dai Redemption), ma questo Snowfall on Judgment Day si rivela essere comunque un album molto compatto, senza alcun filler, con una manciata di pezzi di altissimo livello e senza dubbio più riuscito del precedente The Origins of Ruin.
Lorenzo “KaiHansen85” Bacega
Discutine sul forum nel topic relativo
Tracklist
01 – Peel
02 – Walls
03 – Leviathan Rising
04 – Black and White World
05 – Unformed
06 – Keep Breathing
07 – Another Day Dies
08 – What Will You Say?
09 – Fistful of Sand
10 – Love Kills Us All / Love in One Day
Line Up
Bernie Versailles – Guitars
Nick Van Dyk – Guitars
Ray Alder – Vocals
Sean Andrews – Bass
Chris Quirarte – Drums
Greg Hosharian – Keyboards