Recensione: So Far, So Good…So What
Dopo l’uscita di “Peace sells…. but who’s buyng?” per i Megadeth arriva quella che per ogni band è la prova del nove. Il gruppo è in procinto di registrare il terzo album che dovrà sancire la sua conferma agli apici del thrash americano in compagnia di Metallica ed Exodus. La band entra in sala di registrazione e li accade ciò che nessuno si sarebbe aspettato e, probabilmente, auspicato: Dave caccia dal gruppo il chitarrista Chris Poland ed il batterista Gar Samuelson. L’accusa è quella di non essere all’altezza tecnica del nuovo materiale che di li a poco sarebbe uscito differentemente da quanto dimostrato nell’album precendente. Nonstante la marea di dubbi sollevatisi dopo tale decisione i fans dovettero ricredersi una volta resisi conto della fattura del nuovo LP. Jeff Young e Chuck Behler (procurati direttamente dalla casa discografica) si rivelano all’altezza della situazione, il primo in sostituzione di Poland ed il secondo dietro le pelli. C’è chi considera questo lavoro solo come un album di transizione tra due masterpiece del gruppo, punto di vista motivato anche dal terzo futuro cambio di line-up; chiaramente è troppo semplice e diminutivo limitarsi ad una tale valutazione. Ascoltando invece attentamente ogni brano il disco prende una sua chiara personalità ed ogni episodio, a parte l’inutile cover dei Sex Pistols, è un tassello nella costruzione di essa. Il songwriting in generale risulta abbastanza complesso a favore dell’appetibilità. Buona la produzione che rende particolarmente esplosivo il sound generale; a favore di ciò, per quanto riguarda la batteria, troviamo in grande risalto rullante e piatti mentre le chitarre risultano “acide” nel suono alla stregua delle classiche produzioni thrash anni 80. Dal punto di vista delle composizioni la miscela è sempre la stessa dell’album precedente: chitarra ritmica frenetica ed aggressiva, assoli estremamente melodici dall’alto tasso tecnico in velocità. Basso e batteria compiono “scolasticamente” il loro lavoro senza risultare particolarmente degni di note alla luce della resa generale. Come al solito la voce di Dave non è certo il massimo in quanto a tecnica e timbro ma il carico di rabbia che riesce ad esprimere nei toni e nella pronuncia è davvero qualcosa di esaltante, perfetta per l’intento dell’album.
Ad aprire le danze è “Into the Lungs of Hell”, un interessante brano strumentale nel quale la doppia cassa ed un assolo di ben tre minuti sono i degni opener di “Set the World Afire”. Si tratta di una vera e propria esplosione nucleare, sregolati cambi di tempo ed una ritmica tagliente come un rasoio ci accompagnano nelle rabbiose melodie intonate da Mustaine e dagli assoli di Jeff . La furia omicida di questo pezzo basterebbe a ripagare ogni vero thrasher del costo del cd ed è su questi canoni che si esprimono “502” e “Liar”. Come già detto in precedenza come terza traccia troviamo l’anonima cover di “Anarchy in the U.K.” che alla fine risulta un brano piacevole grazie alla buona interpretazione in chiave metal. “Mary Jane” si divide in due parti, la prima molto decadente e quasi mid-tempo mentre la seconda si assesta sui canoni generali delle altre canzoni. Simile per struttura è “In My darkest hour”, uno degli episodi migliori del lavoro, piena di dinamiche interessanti ed assurda nel livello tecnico sfoggiato da Young, un vero e proprio emblema del thrash tecnico targato Bay Area.
Questa è la giusta chiave di valutazione per questo album: isolarlo dal resto della discografia. Ci troviamo di fronte alla crescita di una band ancora in cerca della sua fisionomia finale ma che esprime comunque tutte le sue potenzialità grazie alla guida di Dave Mustaine. Egregio lavoro pieno di piccole perle e con alcuni brani entrati a pieno diritto tra i classici del thrash anni 80.
