Recensione: Sóknardalr
“Sai quel luogo che sta tra il sonno e la veglia? Dove ti ricordi ancora che stavi sognando? Quello è il luogo dove io ti amerò sempre”. Così Tinkerbell – Trilly o campanellino per la traduzione italiana – prende congedo dall’amato Peter Pan nel famoso film di Steven Spielberg dei primi anni novanta. Cosa centra questa citazione cinematografica con la recensione del primo, meraviglioso, album dei Windir? Tutto, o forse niente.
Niente, perché ovviamente l’arte cinematografica del regista statunitense è distante mille miglia dalla musica dell’artista norvegese; ma tutto perché è proprio in quel impercettibile lasso di tempo, in quella indefinibile frazione di secondo che passa tra la veglia e il sonno, proprio in quel etereo momento lontano dalla leggi fisiche e dallo spazio tempo che gli amanti dei Windir possono ritrovare Terje Bakken. Un limbo dorato che accoglie da oramai otto anni il musicista di Sogndal, dopo la tragica morte per ipotermia avvenuta nei pressi di Reppastølen verosimilmente tra il 14 e il 16 gennaio 2004. Una morte che ha lasciato un vuoto enorme nella scena musicale, non solo scandinava, perché ha privato il mondo del Metal di un artista unico, geniale, dall’inarrestabile vena creativa ispirata da un amore genuino verso la musica e, sopratutto, verso la propria terra. Un artista che potremmo ritrovare sempre nel luogo più caldo della memoria con un semplice gesto: basta inserire il disco nel lettore per essere catapultati nuovamente nel mondo di Valfar, trovandosi immersi nel suo personalissimo modo di adattare le leggende di Sogndal e vecchie canzoni popolari norvegesi – come le storie su “Anne Knutsdotter” riprese anche, ad esempio, dai Glittertind -, ai suoni di un metal aggressivo, duro, tagliente, contaminato dalla dolce melodia degli strumenti propri del folklore.
Lontano dal concetto Black Metal, o più specificatamente dalla filosofia di una musica che ha reso la Norvegia un ‘mito’ per diverse generazioni di appassionati (e che ancora lo fa), il suono caratteristico dei Windir ha però sempre attinto a piene mani dalle musicalità riconducibile al Black.
“Sóknardalr”, oltre ad essere uno stupendo disco di debutto, è la trasposizione in musica dell’anima, oltre che di Valfar, anche della popolazione che si riconosce nel landsmaal di Ivar Aasen.
“Ain haim å ait fålk, ait rike å ain herskar.”
Una patria e un popolo, un regno e un sovrano.
Forse le parole non sono sufficienti per descrivere appieno il lavoro svolto dall’artista norvegese nel corso della sue breve esistenza, certo è che l’aver avuto l’abilità di pubblicare album di così tanto spessore non è una cosa ad appannaggio di molti. Un talento capace di entrare di diritto nell’olimpo del metal in un lasso di tempo paragonabile al battito d’ali di una farfalla. Ma per capire, o almeno cercare di capire l’estrema qualità dell’artista norvegese, bastano i primi istanti di “Sognariket sine krigarar” per rendersi conto in quale capolavoro lo spirito si stia perdendo, trascinato dalle fantastiche melodie che si sviluppano con rude dolcezza. Brani legati come per magia, incatenati l’uno all’altro in maniera indissolubile, da ascoltare tutti d’un fiato, in silenzio. Brani come “Det Som Var Haukareid”, “Likbør” o la stessa “Sóknardalr” (giusto per non mettere tutta la tracklist) scavalcano agilmente l’ostacolo posto dallo scorrere del tempo restando li, ferme, nei solchi di un disco – e di un gruppo – che restano patrimonio di noi tutti. Perché questa, più che una recensione di un disco, vuole essere un omaggio. Modesto, timido e rispettoso, ma pur sempre un omaggio.
Perché Valfar, non ci rammarichiamo se la fortuna ti è mancata; non crediamo nella fortuna, né tanto meno nella malasorte. No Valfar, siamo coscienti che il tuo filo, tessuto dalle mani premurose di Urðr, Skulld e Verðandi è stato semplicemente troppo corto. Il destino ha voluto che il tuo cammino si fermasse lungo il sentiero di casa. Pensiamo a te, invece, mentre allieti la grande sala dal tetto di scudi con la tua luccicante fisarmonica, dopo una giornata passata a dar battaglia sull’Idavoll.
Non è rammarico Terje, e forse solo rimpianto per non aver potuto più godere della tua persona e, forse in maniera più egoistica, del tuo estro creativo. E scusaci se, qualche volta, ascoltando le dolci note di “Sóknardalr” ci rapisce un malinconico tuffo al cuore.
Arrivederci Valfar, arrivederci cavaliere del Nyorsk.
Daniele Peluso
Discutine sul topic relativo!
TRACKLIST:
01. Sognariket Sine Krigarar
02. Det Som Var Haukareid
03. Mørket Sin Fyrste
04. Sognariket Si Herskarinne
05. I Ei Krystallnatt
06. Røvhaugane
07. Likbør
08. Sóknardalr