Recensione: Solace
Nato come movimento musicale di nicchia, il black metal ai suoi albori fu un genere votato ad una ricerca musicale che teneva conto maggiormente dell’aspetto emotivo, rilegando quello tecnico in secondo piano.
Fu verso i primi anni novanta che grazie a band quali Arcturus o …In The Woods, o ancora gli Emperor, il black metal cominciò ad assumere caratteri musicali sempre più sinfonici e tecnici (non sono rari elementi prog nei primi due gruppi citati), che fecero “cambiare” faccia al genere, rendendolo tecnicamente più complesso senza spogliarlo del carattere primordiale profondamente segnato dalla voglia di rivolta.
In quel nuovo filone si integrarono anche i Lengsel a partire dal 1995. Ma è solo nel 2000 che esordiscono con il loro primo album, questo “Solace”.
La band:
Il gruppo, come detto in precedenza, nasce nel 1995 in Norvegia ad Oslo, grazie all’idea di tre musicisti già famosi nel panorama underground, vale a dire Tor Magne S. Glidje (chitarre e voce), John Robert Mjåland (basso) ed Ole Halvard Sveen (batteria, tastiere e chitarre acustiche), tutti e tre già membri dei prog-deathster Extol.
E’ proprio grazie all’esperienza accumulata all’interno del gruppo madre che i tre, in poco meno di cinque anni dalla loro formazione, arrivano alla pubblicazione del primo “Solace”, vero e proprio capolavoro della band.
Lo stile & “Solace”:
Musicalmente il trio propone, in questo “Solace”, un black metal ricco di sfumature progressiveggianti, caratterizzato da una continua ricerca melodica e tecnica. L’album è, quindi, da un lato estremamente fruibile, grazie a melodie azzeccate e dotate in più di un frangente di un retrogusto gothic che arricchisce ancor di più la proposta, ma dall’altra parte anche molto complesso e decisamente costruito.
Diviso in sette episodi più una intro, “Solace” colpisce già da un primo ascolto, grazie alla potenza espressa da riff taglienti, ritmiche di basso e batteria in continua evoluzione. Quest’ultima capace di sfuriate in doppia cassa degne dei più rinomati drumers del settore. Il basso sempre pulsante in sottofondo dona maggiore corposità alle composizioni. Soprattutto colpisce la voce di Glidje, mutevole e capace di muoversi tra scream vocals acide e puliti pronfondi e pieni (ad alcuni potrebbe ricordare il cantato di Vortex nei Borknagar di Quintessence, seppur Tor abbia meno personalità vocale), che si rivela un’arma vincente in ogni frangente.
Degli otto pezzi, quelli che all’ascolto colpiscono di più sono la terza “Opaque” dotata di un’introduzione di clavicembalo, e che si tramuta poi in quello che è il brano più pesantemente influenzato dagli Arcturus di “Aspera Hyems Sinphonya”. A convincere, in “Opaque” è altresì la capacità del trio di costruire un brano particolarmente violento ed aggressivo, ma al contempo elegante e raffinato, caratterizzato da un muro sonoro nel quale duettano assieme ai riff e alla sessione ritmica anche pianoforte e il già citato clavicembalo.
Ancora da menzionare sicuramente la quarta “Hours”, nella quale confluiscono elementi musicali fortemente influenzati dall’operato degli Emperor più sinfonici ed altri presi in prestito direttamente dal progressive rock e metal. Esempio ne è la parte strumentale posta al centro del brano che sfuma in un breve stacco acustico di stampo King Crimsoniano di grande effetto, per poi tornare a calpestare territori più prettamente black metal nel finale.
La coppia “Stille Dualisme” e “The World Monotone” sono quelle che forse però racchiudono al proprio interno tutte le caratteristiche della musica dei Lengsel. La prima risulta infatti caratterizzata da una forte influenza proveniente dal gothic metal (l’attacco di organo posto in apertura, l’andamento malinconico, le ritmiche mai troppo sostenute ed anche un ricorso all’utilizzo delle clean vocals in quantità preponderante). La seconda si rivela un vero e proprio manifesto di black metal sinfonico/progressivo, caratterizzata da continui cambi di ritmiche, sessioni solistiche ancor più ricercate e complesse e tastiere che giganteggiano un po’ ovunque e che elevano la canzone a status di capolavoro.
Gli altri brani, seppur di ottima fattura si attestano invece su livelli qualitativi meno brillanti, risultando un po’ più di maniera e con meno finezze a livello strumentale/melodico, puntando più sul livello emotivo. L’ultima “Avmakt”, nonostante sia leggermente semplificata tecnicamente, mostra un gruppo in grado di sfoderare un’anima velata di una decisa vena deprimente/malinconica, sottolineata per altro dal delicatissimo assolo di piano che va dal minuto 3 e 10 sino al 4 e 10.
Critiche:
Alcuni brani tendono a somigliarsi un po’ troppo tra di loro (“Coat of Arms” e “Revival” nella fattispecie) e la qualità della registrazione tende a rendere un po’ troppo impastati i suoni, specialmente quelli delle chitarre. In fondo sono però peccati veniali sui quali si può chiudere un occhio, dal momento che ci troviamo davanti un album di assoluto valore.
Conclusioni:
Tirando le somme siamo dunque davanti ad un prodotto sicuramente di elevatissima qualità, ben costruito, studiato ma mai troppo artefatto, in grado di trasmettere emozioni forti capace di convincere anche dal punto più prettamente tecnico.
Se cercate un disco black metal che vada un po’ al di la schemi precostituiti e che sia in grado di farvi rivivere le emozioni che avete provato anni fa grazie ai capostipiti del genere, il tutto rielaborato in maniera estremamente personale, troverete sicuramente in questo “Solace” un ottimo disco.
Tracklist:
01 Solace
02 Revival
03 Opaque
04 Hours
05 Coat Of Arms
06 Stille Dualisme
07 The World Monotone
08 Avmakt
Emanuele Calderone
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