Recensione: Sommermorgen (Pt. III) – Nostalgia

Di Daniele D'Adamo - 27 Maggio 2018 - 20:18
Sommermorgen (Pt. III) – Nostalgia
Band: Violet Cold
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2018
Nazione:
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“Sommermorgen (Pt. III) – Nostalgia” è il terzo album della trilogia dei Violet Cold che prende il nome di “Sommermorgen”. Le altre due opere si chiamano “Sommermorgen (Pt. I) – Innocence” e “Sommermorgen (Pt. II) – Joy”. Assieme, formano un trittico dai mirabili sentimenti, dalle emozioni profonde, dai dolci singulti dell’anima e dalle aritmie dei batticuori. 

L’ordine di uscita dei tre dischi, in sequenza, è il primo giorno dei mesi di giugno, luglio e agosto ma, come spesso accade per le autoproduzioni, tutti i lavori sono già disponibili in streaming sulla pagina bandcamp della one-mand band azera.

Come lascia intuire dal titolo, “Sommermorgen (Pt. III) – Nostalgia” è un fantastico viaggio nella malinconia, il cui percorso è tratteggiato dalle scie delle stelle cadenti che, come lacrime, rigano la guancia di un essere incontaminato. Il genio compositivo di Emin Guliyev, uomo tuttofare, raggiunge a tratti vette d’incommensurabile lirismo (‘Sommermorgen’) grazie alla fenomenale, inarrivabile, perfetta unione fra il black metal e la shoegaze, sì da dar luogo a uno degli stili più fecondi in materia di puro romanticismo: il post-black.

I Violet Cold hanno già abituato l’ascoltatore a volare nel mondo dei sogni (“Anomie”, 2017) e continuano a farlo. La già citata ‘Sommermorgen’, opener-track, scivola sull’anima con la dolcezza di una piuma, benché il ritmo e il volume siano sostenuti. Le meravigliose melodie di Guliyev avvolgono completamente il corpo, costringendolo a chiudere gli occhi per immaginare mondi lontani, nello spazio e nel tempo, magari esistiti eoni fa. E dei quali, come d’incanto, la musica di “Sommermorgen (Pt. III) – Nostalgia” fornisce la chiave per ritrovarli e far rivivere le vite vissute che, comunque, mai torneranno nella loro primigenia intensità.

L’estro compositivo è ai massimi livelli possibili, giacché ciascuna canzone del lavoro è, come per magia, un piccolo capolavoro a sé stante. Minuscole, deliziose perle che impreziosiscono uno stile unico al Mondo, al quale bastano poche note per pensare all’atmosfera vivente della capitale dell’Azerbaijan, Baku, luogo natìo e operativo di Guliyev.

‘Weltschmerz’ apre improvvisamente la porta dell’Infinito, dietro la quale si possono intravedere spicchi di spazio siderale, nei quali il post-black trova l’ideale complemento per scatenarsi, per librarsi nel nulla, per celebrare musiche epiche e leggendarie. E il sentimento imperante, la nostalgia, viene squisitamente trasformata in musica, senza cadere nella trappola della tristezza. I toni sono penetranti ma non dolorosi, difatti. Il languore che sale violento dallo stomaco o forse dal cuore, rappresenta quella sensazione invisibile e sfuggente che è stata cantata più volte, nei secoli, dagli uomini di penna: il mal di vivere. Che non è sofferenza ma infinita malinconia per ciò che è stato e che ora non è più. Spesso è difficile comprendere sino in fondo come e perché qualcosa che è accaduto sparisca nelle sabbie del tempo. “Sommermorgen (Pt. III) – Nostalgia” aiuta a superare questo sgomento, a travolgere i pensieri dispersi (‘Ein Hauch Von Ewigkeit’) sì da liberare i ricordi nella loro pienezza a tutto tondo lasciando solo un dolce, morbido, delicato strascico d’Amore.

‘Blütezeit’ è una trasognante cavalcata nell’Io, spazio nascosto fra le attività cerebrali, fondamento della personalità, in cui s’incuneano con angelici movimenti echi di mondi lontani. Pianoforte che nasce e muore sotto una cappa di armonioso post-black, la chitarra, oltre ad aprire i corridoi fra le galassie con ritmiche sciolte ma potenti, disegna sulla lavagna dell’Io, allora, delicati arabeschi; trasformandoli in cieli notturni le cui stelle sono simulate dal volo delle lucciole di maggio. Anticipo d’estate il cui caldo movimento interiore s’accorda a meraviglia con le angeliche armonie di ‘Langsamer Als Licht’, brano dall’intensità addirittura stordente. Che, come d’incanto, trasporta la coscienza ad anni luce di distanza dalle membra, inutili appendici di una configurazione umana composta, qui, soltanto da organi capaci di amare, di odiare, di fuggire, di piangere e quindi di morire.

Morire, certo, poiché i Violet Cold sanno anche essere possenti e travolgenti come la straziante aria che regge la celestiale ‘Lebensmüde’, che, come un pugnale di diamante, trafigge il cuore per indurlo a rivivere in eterno. Sogno possibile con l’eredità lasciata dalle opere e delle composizioni artistiche, immortali davanti alle divinità e, per questo, destinate a tracciare per sempre un segno profondo nella misteriosa essenza di Dio.

Ma il brivido tremendo che si prova ascoltando le meravigliose note di Guliyev non si ferma anzi, il fremito dell’anima prosegue in un crescendo rossiniano (‘Es Kann Niemals Erklärt Werden’, ‘Revelation’), sino a costringere a rifiutare ciò che non fa parte di questo meraviglioso, incredibile, miracoloso percorso fra gli astri del Cosmo, fra le particelle sub-atomiche della materia, fra le molecole della carne.

Capolavoro, per sempre.

Daniele “dani66” D’Adamo

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