Recensione: Son of a Blizzard

Di Daniele Balestrieri - 27 Dicembre 2007 - 0:00
Son of a Blizzard
Band: Trimonium
Etichetta:
Genere:
Anno: 2007
Nazione:
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65

Pur essendo una band in funzione da sette anni, i Trimonium godono di un seguito di fans abbastanza denutrito ma particolarmente accanito, una condizione ben diversa dai propri compagni di bandiera e di genere come Equilibrium, Thrudvangar, XIV Dark Centuries, Black Messiah e via dicendo. In questo frangente, è il caso di dirlo, la presenza live fa la differenza e aiuta band tanto simili tra loro a raggiungere livelli diversi di popolarità.
Invece i nostri quattro teutonici, più riservati rispetto alle loro controparti, dopo un paio di problemi tecnico-musicali tra le loro fila, quattro anni dopo il buon “Blow the Horns” tornano sui campi di battaglia con questo “Son of a Blizzard”.

Le ideologie alla base del nuovo lavoro sono sempre le medesime, un heathen-viking ruvido e particolarmente conservatore che li inquadra immediatamente nel movimento nordico mitteleuropeo, distante ormai anni luce dal progressivismo di stampo scandinavo e al contrario incastonato nella nicchia quasi power che tanti consensi riscuote tra i fan a sud del baltico.
La conservazione è innegabile, d’accordo, ma una piccola differenza rispetto al resto della banda dei pagani tedeschi li pone su un podio tutto loro. La voce del cantante, grezza come un macigno polveroso, crea un sound selvatico, ruvido, che si addice perfettamente alle tematiche dei brani proposti.
In Son of a Blizzard non ci sono canzoni da far gridare al miracolo, né tantomeno evoluzioni strumentali che lasciano il segno. In questo senso putroppo ricordano quei dischi tumultuosi e abbastanza inoffensivi che hanno segnato i momenti più inconsistenti di band del calibro di XIV Dark Centuries (quello Skithingi che non è ne carne né pesce) o gli ultimi lavori dei norvegesi Einherjer, che poi sono finiti nel triste modo che tutti conosciamo.
Le intenzioni sono buone, gli strumenti sono suonati con mestiere, e le canzoni si lasciano ascoltare senza grandi scossoni, a parte una batteria a tratti molesta che viene controbilanciata proprio dalla già elogiata voce del cantante, che dà ottima prova di sé nella title track “Son of a Blizzard” o nella drammatica “A Sign in the Sky“. I ritmi martellano senza grandi variazioni per tutta la durata dell’album e conferiscono un senso di soddisfazione generale senza purtroppo donare quei grandi momenti di estasi ai quali il 2007 ci aveva abituato con Vargstenen dei Månegarm, per esempio.
Niente cori epici, niente assoli al cardiopalma, melodie semplici e lineari: Son of a Blizzard è un prodotto di una bottega ben rodata e con una certa esperienza alle spalle. Ciò che manca è quel quid personale che, nel bene o nel male, finora ha garantito un certo successo alle band testa di serie del genere.

Consigliare l’acquisto di un album di questo tipo non è semplice: i seguaci del genere sono praticamente obbligati a dargli una possibilità, mentre i “visitatori” potrebbero rimanere indifferenti alle qualità piuttosto oscure dei Trimonium. Non che sia un album carente, sia chiaro, ma di fronte alla superproduttività di questi ultimi anni nel campo dell’Heathen-viking metal, l’indispensabilità di un lavoro simile cede il passo a numerosi esponenti molto più brillanti e meritevoli di essere presi in considerazione.

TRACKLIST:

01. Mirrors Hall 01:04
02. Son of a Blizzard 05:04
03. The Wisdom of a Crying Stone 06:02
04. Return from the Battle 04:21
05. Choose the Weapon 07:35
06. My Blood for yours 06:29
07. A Sign in the Sky 08:43
08. Waste of Blood 04:58 

 

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