Recensione: Song for America
Dopo il sorprendente album omonimo del 1974 che aveva costituito il debutto discografico, il sestetto di Wichyta pubblica nel 1975 questo “Song for America” ennesima conferma del talento e dell’unicità della proposta formulata dal gruppo statunitense. La direzione musicale intrapresa, seppur incredibilmente matura e tecnicamente ineccepibile già con il platter precedente, non aveva ancora preso una piega ben definita, è quindi con questo secondo album che i Kansas definiscono il loro stile racchiudendo tutto il loro mondo musicale in un sound figlio di un proprio stile. Influenze e generi musicali assai distanti tra loro trovano in questo contesto un’amalgama ed una corposità davvero invidiabile, ricordiamo per esempio la forte componente country rock, le massicce dosi di magniloquenti arrangiamenti presi direttamente dal periodo romantico della musica classica, non per niente Steinhardt (il violinista) è uno dei punti cardine della formazione; importante e sentita è poi la componente blues, per finire al preponderante uso della distorsione hard rock che fa della potenza dei riff l’altra fondamentale caratteristica della musica dei Kansas. Ogni canzone quindi può essere intesa come una storia a sé, a cominciare dall’opener “Down the road” che rischia di portare l’ascoltatore immediatamente fuori tema visto che non azzecca nulla con il resto dell’album, il boogie rock cantato da Steinhardt è discreto così come i sui stessi fraseggi di violino in chiave country “grass”, siamo però ben lontani dal dire che questa sia una traccia rappresentativa per la loro musica. Infatti ogni dubbio viene fugato dalla title-track, più di dieci minuti di autentica magia, il pomp prog qui proposto è ai massimi livelli sia in termini di creatività che di tecnica, e da questo punto di vista i Kansas sembra non temano confronti con nessuno; controtempi, splendide melodie, puri passaggi prog accompagnati da quell’atmosfera sognante che solo la musica classica riesce a ricreare, spuntano a turno da questa piccola opera d’arte. Perfettamente inseriti in questo contesto l’incredibile voce di Steve Walsh ed il drumming estremamente raffinato di Phil Earth. Non c’è tregua e la terza “Lamplight Simphony” è altrettanto maestosa e ricca di phatos, anche qui come nella traccia precedente vale il discorso dello stile improntato decisamente verso un’atmosfera romantica inframenzzata da repentini cambi di tempo. Si erge come uno scoglio in mezzo al mare il pesante hard’n’blues di “Lonely Street”, il riff massiccio di chitarra ed il profondo feeling della voce di entrambi i cantanti Walsh/Steinhardt fanno di questo pezzo un’importante variazione in chiave hard rock del disco, che risulta come già detto più volte in precedenza essere uno dei più eterogenei della produzione dei Kansas. I toni si fanno più accesi i ritmi più frenetici, “The Devil Game” è un’autentica bomba ed in cinque minuti i “naturalisti” americani racchiudono un concentrato di energia tale da far impallidire chiunque, questa è una traccia che rasenta il capolavoro assoluto, la padronanza degli strumenti è eccezionale, il ritmo proposto è una cavalcata hard prog mozzafiato e la sezione ritmica tiene un tempo disparo in continua variazione, in cui si alternano funambolici assoli di violino e di chitarra, e tutto risulta essere al centro dell’attenzione tanto da far sembrare ogni strumento – voce compresa – un assolo continuo. Non ci poteva essere miglior finale poi con “Incomudro” una composizione di dodici minuti, che può riassumere artisticamente l’incredibile bagaglio culturale del principale ispiratore della musica dei Kansas e cioè il chitarrista/tastierista Kerry Livgren, che riesce nella sua gran voglia di stupire, perché non c’è un singolo secondo di noia anche in questa lunga divagazione pomp prog rock, oltremodo davvero spettacolari sono i circa tre minuti di assolo di batteria di Phil Earth con il suo originalissimo uso della doppia cassa (e siamo nel 1975) aiutato da una serie di effetti che lo integrano perfettamente nel gioco musicale di questo ultimo pezzo. Merito del successo e dell’importanza di questo platter va quindi, oltre la bravura e la classe di tutti i musicisti coinvolti, al genio compositivo di Kerry Livgren, uno dei musicisti più sottovalutati in assoluto in campo rock; i Kansas infatti, nel momento in cui si separeranno da lui negli anni ’80, seppur mantenendo alto lo standard qualitativo della loro musica, saranno costretti a cambiare genere spostandosi verso sonorità AOR (ottime peraltro). In conclusione un disco consigliato a tutti indistintamente, in particolare agli amanti del prog metal, vedrete che non vi deluderà e che vi riserverà molte e positive sorprese.
Tracklist:
1. Down The Road
2. Song For America
3. Lamplight Symphony
4. Lonely Street
5. The Devil Game
6. Incomudro: Hymn To The Atman
Steve Walsh – tastiera/voce
Kerry Livgren – Chitarra solista/Tastiera
Robert Steinhardt – Violino/voce
Dave Hope – Basso
Phil Earth – Batteria
Rich Williams – Chitarra ritmica