Recensione: Songs for beating hearts

Di Roberto Gelmi - 16 Novembre 2024 - 12:00
Songs for beating hearts
Band: Beardfish
Etichetta: Insideout
Genere: Progressive 
Anno: 2024
Nazione:
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84

Ci sono voluti quasi dieci anni di attesa per ascoltare il nuovo studio album dei Beardfish, band ormai di culto nella ricca compagine del progressive rock di marca scandinava. A dire il vero, Rikard Sjöblom è rimasto comunque prolifico durante lo iato della band, ma risentirne l’ugola inconfondibile insieme ai Beardfish è qualcosa che allarga il cuore.

Songs for beating hearts è, infatti, un album genuino, bucolico, sognante e regala un’ora di musica pensata per risollevare il morale collettivo in questi tempi così complicati. Come da miglior tradizione prog percorriamo un viaggio dai toni circensi, tra tempi dispari, rimandi agli Yes, canzoni attorno ai dieci minuti e sintetizzatori flamboyant.

Tutto è magico in Songs for beating hearts. Si parte con un opener lisergico impreziosito dalle linee vocali di Amanda Örtenhag. Un avvio in pianissimo, ma chi conosce il pescebarba sa che non bisogna essere impazienti. A seguire, infatti, vi è la prima mini-suite divisa in cinque parti, “Out in the open”, composizione che eguaglia la bellezza di quanto proposto dai Big Big Train e altre band sulla cresta dell’attuale onda prog.

Già l’overture è di rara delicatezza ed estro, tanto da deliziare le nostre orecchie avide di unisoni, ghost note, note di pianoforte e Rickenbacker. Il secondo movimento, “Oblivion”, inizia in 7/8, cadenza familiare a tutti i progster: l’effetto retrò è assicurato, ma l’ugola di Sjöblom (insieme alle liriche sempre dotate di originalità) rendono il sound Beardfish inconfondibile e una gustosa sintesi di “antico” e moderno. Che dire, poi, della splendida elegia “Hopes and dreams”? Minuti di puro struggimento, seguiti dalla ripresa del tema di “Oblivion” con un sintetizzatore goliardico che riporta subito il sorriso sul volto dell’ascoltatore. La suite ovviamente risorge poi gagliarda e rock, per concludersi, infine, con l’ultima parte, “Around the bend”, dove note di sintetizzatori e organo fanno da padrone, mentre le chitarre restano sullo sfondo. Che dire, i Beardfish sono davvero tornati…

La titletrack è un altro centro pieno. L’avvio con arrangiamenti di archi ricorda i migliori Spock’s Beard (quelli V per intenderci), ma va segnalata anche l’ipnotica parte centrale su ritmo compassato che poi esplode in una strofa tiratissima (e ricordiamo che ci furono anche cenni di growl in Destined Solitaire, disco del 2009). Strappa un sorriso vedere il video con i nostri in carne e ossa cantare “In the autumn”, pezzo sbarazzino, molto orecchiabile e con pregevole duetto vocale. Sembra di ascoltare i già citati Yes, ma in una veste inedita e aggiornata. Pura delizia.

Siamo quasi in chiusura d’album. Dopo l’intermezzo “Ecotone”, “Torrential Downpour” è il refrigerio conclusivo, con una sezione finale trascinante al punto giusto, ascoltare per credere. L’easter egg che non ci aspettiamo è la bonus track “Ecotone – Norrsken 1982 edition”, pezzo di musica elettronica uscito dalla macchina del tempo o forse da un’altra dimensione. Non sottovalutatela!

 

A quasi vent’anni dal primo capitolo Sleeping in the traffic, disco della consacrazione della band, i Beardfish ripropongono quanto di buono hanno saputo regalare al mondo progressive. La loro reunion ha il sapore di un sogno che si avvera e speriamo davvero sia l’inizio di un nuovo ciclo di ottimi album da non perdere.

 

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