Recensione: Songs For The End Of The World
Ritagliatosi uno spazio molto importante nell’universo del Rock melodico diversi decenni fa grazie ad alcuni lavori come “Working Class Dog” ed il capolavoro Hi-Tech AOR, “Living in Oz”, l’australiano Rick Springfield torna sulla scena musicale a 63 anni suonati con un album nuovo di zecca, intitolato “Songs for the End of the World”.
Si potrebbe facilmente pensare che, a 40 anni dall’esordio in ambito musicale (tanti ne sono passati dal disco omonimo di debutto), le uscite di un artista possano amalgamarsi sempre più col passare del tempo, mettendo in mostra la semplice voglia di fare il solito compitino e nulla più.
Ma state tranquilli, non è questo il caso di Springfield, che con questo nuovo lavoro arricchisce il suo stile con un taglio nettamente più modernista, già intravisto nel precedente “Venus in Overdrive”.
Le canzoni sono molto corte (raramente raggiungono i quattro minuti) e si stampano indelebilmente in testa già dal primo ascolto e, nonostante “Songs for the End of the World” sia un disco ben poco canonico per l’AOR a causa della mancanza di tastiere e cori pomposi tipici del genere, rimpiazzati da un sound piacevolmente più ruvido e rockeggiante, esso si rivelerà essere forse addirittura il disco più orecchiabile della discografia dell’australiano, nonché sicuramente uno dei migliori.
L’opener “Wide Awake” è la prima di una lunga serie a farci capire a suon di riff taglienti che il Nostro, nonostante l’età, ha ancora la voglia e l’entusiasmo di un ragazzino, che veste i panni del ribelle nella scanzonata “I Hate Myself”, svestendoli per poi indossare quelli dell’inguaribile romanticone in “You and Me”.
Nonostante l’approccio sia diverso rispetto a quello di un vecchio classico come “Human Touch”, la classe c’è ed emerge prepotente in episodi come “Gabriel”, pezzo tanto malinconico quanto elegante, “Our Ship Is Sinking”, relativamente la composizione più vicina al classico AOR di trent’anni fa o ancora la Leppardiana sin dal titolo “Love Screws Me Up” e “A Sign of Life”, tra i pezzi più convincenti del lotto.
Ancora più modernista ed avvincente “My Last Heartbeat“, scandita da un ritmo irresistibile e piena di riff insolitamente pesanti e distorti per lo stile di Springfield, mentre è di tutt’altro stampo “Joshua”, infarcita di melodie e cori dai toni ottimisti che hanno il potere di stampare un largo sorriso sulla faccia di chi ascolta. Dopo la grande ballad dal mood introspettivo “I Found You” e la favolosa “Depravity”, pezzo dalle trame più Alternative Rock che riassume efficacemente quanto sentito fino ad ora, Springfield chiude tornando per un’ultima volta verso lidi più classicamente AOR con “One Way Street”, coinvolgente esplosione di melodie vincenti.
Che dire di più a proposito di “Songs for the End of the World”? Gli anni passeranno per tutti, ma il tempo sembra aver fatto un regalo a Rick Springfield, che non ha perso una briciola della grinta e della bravura che lo accompagnavano anche quando era ben più giovane. Personalmente credevo che gli H.E.A.T. avessero rilasciato il disco di Rock melodico di gran lunga più bello dell’anno, ma a quanto pare hanno trovato un degno avversario…
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Tracklist:
01 Wide Awake
02 Our Ship Is Sinking
03 I Hate Myself
04 You And Me
05 Gabriel
06 A Sign of Life
07 My Last Heartbeat
08 Joshua
09 Love Screws Me Up
10 I Found You
11 Depravity
12 One Way Street
Line-up:
Rick Springfield: Voce / Chitarra
Tim Pierce: Chitarra
George Bernhardt: Chitarra
Dan Strain: Chitarra
George Nastos: Chitarra
Matt Bissonette: Basso / Tastiere
Rodger Carter: Batteria