Recensione: Songs From The Sparkle Lounge

Di Fabio Vellata - 10 Maggio 2008 - 0:00
Songs From The Sparkle Lounge
Band: Def Leppard
Etichetta:
Genere:
Anno: 2008
Nazione:
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76

Se il “serpente bianco” chiama, il “leopardo sordo”, al solito, risponde (o almeno ci prova).
C’è un parallelo ormai consolidato tra le due grandi rock band britanniche, divenute pressoché indivisibili nei grandi eventi sul palco e, sin dai tempi d’oro, a braccetto anche dal punto di vista della pubblicazione dei nuovi e, inutile dirlo con troppa enfasi, attesissimi, album.

Ricevuta una conferma fragorosa e roboante da Coverdale e soci, i tanti adoratori del rock d’antan rimanevano in trepidazione per la risposta di Joe Elliott e dei suoi sodali, nell’attesa di stappare le bottiglie di champagne e festeggiare il ritorno, almeno per qualche mese, della grande musica che negli eighties aveva conquistato il mondo.
‘Hysteria’ e ‘1987’, proprio ventuno anni fa, erano stati, insieme, capaci di sbancare la concorrenza di chiunque, e le similitudini, le sensazioni, la voglia di tornare a respirare quell’atmosfera rock da capogiro erano ormai molte, tali da suscitare un intenso brivido a tutti coloro che, con impressa nell’anima, anche una sola, vaghissima memoria, ricordavano con affetto quell’eldorado musicale chiamato “anni 80”.

“Songs From The Sparkle Lounge” è l’undicesimo capitolo della carriera dei Def Leps, band partita da Sheffield – Inghilterra – agli albori del decennio mitico, con l’intento di conquistare il globo grazie ad una ricetta a base di hard verace e senza fronzoli che, nel giro di pochi anni, è tuttavia divenuto di straordinaria raffinatezza ed equilibrio, dando alla luce alcune pietre miliari del genere conosciute con i nomi indimenticabili di “Pyromania”, “Hysteria” ed “Adrenalize”, dischi capaci di scolpire per sempre il nome del quintetto nella storia del più grande e leggendario rock di tutti i tempi.
Un album fondamentale e determinante, ammantato di grandi speranze e disseminato di trappole e rischi: il classico “dentro o fuori” che, prima o poi, compare sul cammino di una band gloriosissima, straordinaria in passato ma ormai a rischio di definitiva decadenza. Un unico colpo da sparare senza possibilità d’errore, il lampo che in un botto può risollevare le sorti o dichiarare definitivamente il declino e l’avvio verso il viale del tramonto.

Ebbene, togliamoci il pensiero. I samples tradivano, e le voci di un Elliott impazzito alla rincorsa di uno scialbo pop beatlesiano ci avevano fregati.
Sospiro di sollievo dunque: i Def Leps sono ancora capaci di rockare e non hanno perso la verve di un tempo, un po’ addormentata negli ultimi anni ma, evidentemente, cromosoma insopprimibile dei cinque britannici. “Songs Form The Sparkle Lounge”, infatti, è un ottimo disco rock, moderno a tratti, ma fedelissimo al “primo” marchio di fabbrica del “Leopardo”, condito di tutti gli ingredienti da sempre tipici e, finalmente, pieno di voglia di vivere e divertire come non si ascoltava da un po’.
“Hysteria” e “Adrenalize”? Quelli, meglio lasciarli perdere, un’epoca che non tornerà più ed ormai sepolta tra le pieghe della memoria. Consolatorio tuttavia, ricordando le antiche origini, scoprire un dignitosissimo platter hard con buone melodie: nulla di troppo zuccheroso ed un bel pieno di energia alla vecchia maniera. Decisamente non poco!

Sin dalle prime battute, forse un po’ fuorvianti per lo stile accesamente modernista di “Go”, l’impressione è di avere a che fare con un gruppo determinato e con in mente una sola ed incandescente definizione: Hard Rock!
I toni si rivelano, infatti, focosissimi e le chitarre di Collen e Campbell un continuo smulinare di note e riffs rocciosi e potenti, in un torrente di accordi che, dopo i primi attimi d’imbarazzo, coinvolgono senza troppi giri di parole. Eccellente poi, la successiva “Nine Lives”, canzone ideata e composta da Elliott con la superstar country Tim McGraw, che risulta dotata di un ottimo sprint in quanto a coralità e forza di intrattenimento e piace moltissimo nel ritornello a tutto tondo. La batteria di Rick Allen è invece ancora una volta protagonista in “C’mon C’mon”, classico esempio di quello che i Leppard possono ancora oggi offrire agli amanti del rock: robuste cadenze ciondolanti, chitarre solide ed un ottimo coro che, ne siamo certi, farà crollare più di un dubbioso durante le esibizioni dal vivo.
“Love”, primo ed unico slow in scaletta (aspetto che la dice lunga sulla direzione intrapresa da “Songs…”) è una dichiarazione d’amore per i grandissimi Queen, mai nascosta musa del gruppo inglese. Soffusa, forse finanche soporifera nella parte iniziale, sa tuttavia stupire in una serie di aperture magniloquenti e di grand’enfasi (c’è tanto di “Who Wants To Live Forever” e “Bohemian Rhapsody” disperso qua e là) che non mancano di addizionare un che di magico all’intero disco.

Tanto facile quanto scorrevole è quindi l’aria di “Tomorrow”, ideale “surf song” che sembra creata appositamente per un ascolto a massimo volume durante il periodo estivo, mentre un po’ meno efficace appare la successiva “Cruise Control”, interessante ma con qualche dissonanza di troppo, concessione per nulla velata al pop ed al post grunge tipicamente mainstream.
Ma è di nuovo il rock torrido e saltellante a rendersi protagonista con “Hallucinate”, un pezzo che sembra schizzato direttamente a noi dall’epoca “High n’Dry” / “Pyromania”, grazie ad un rifferama ben riconoscibile ed una grinta rock per nulla disdicevole.
Le citazioni della copertina, evidente richiamo a “Sgt. Pepper” dei Beatles, hanno poi libero sfogo in “Only The Good Die Young”, brano “simpatico” e spensierato che tuttavia rappresenta il secondo passaggio di minore impatto dell’album, subito messo in disparte dalla grandiosa esuberanza di “Bad Actress”, traccia “boogie” che nei suoni e nelle cadenze ricorda da vicino i mitici AC/DC, altro eminente nome in procinto di far ritorno in questo appassionante 2008.

Chiudono la tracklist, le gradevolissime e canticchiabili “Come Undone” e “Gotta Let It Go”, pezzi che suggellano degnamente un disco piacevolissimo e per certi versi inatteso, venato di rock d’altri tempi, al contempo moderno, ma non per questo “sputtanato” o troppo commerciale, ricco senza dubbio di buon mestiere, ma dalla qualità media effettivamente piuttosto elevata.

Che dire dunque per concludere? Ricollegandoci a quanto scritto in apertura, il botto degli Snakes resta forse irripetibile e ben difficile da pareggiare a livello qualitativo, rendendo assurdo il paragone, ma rimane ad ogni modo necessario sottolineare come anche “Songs From the Sparkle Lounge” abbia dalla sua parecchie frecce e molti aspetti positivi, sufficienti a farne decretare la piena riuscita.

Resta, ad ogni modo, un avviso ai naviganti di assoluta urgenza: scordatevi le forzate similitudini con le megaproduzioni di fine anni ottanta (i già più volte citati “Hysteria” ed ”Adrenalize” naturalmente!) e lasciatevi coinvolgere senza troppi pregiudizi. Ascoltate il disco un po’ di volte e solo allora datene una valutazione…
È poi davvero tanto malvagio?

Bentornati a casa anche a voi ragazzi, è bello ritrovare così tante facce amiche!

Tracklist:

01. Go
02. Nine Lives
03. C’mon, C’mon
04. Love
05. Tomorrow
06. Cruise Control
07. Hallucinate
08. Only The Good Die Young
09. Bad Actress
10. Come Undone
11. Gotta Let It Go

Line Up:

Joe Elliott – Voce
Phil Collen – Chitarra
Vivian Campbell – Chitarra
Rick Savage – Basso
Rick Allen – Batteria

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