Recensione: Songs In The Key Of Rock
“Songs In The Key Of Rock” sembra un’autocelebrazione agli oltre trent’anni di carriera (nonché i cinquanta di vita) della “voce del rock”, come i KLF – band techno/house, ndr – per primi lo additarono.
L’album segna un deciso e testardo ritorno alle radici per Hughes: fatte salve le episodiche comparse in progetti solisti (Jon Lord, Roger Glover, Tommy Bolin, Pat Travers, Gary Moore, Ritchie Blackmore, Joe Lynn Turner, Marc Bonilla, Stevie Salas, Hank Davison, Stuart Smith…) e le innumerevoli partecipazioni nelle band più grandi della storia del rock (Whitesnake, Black Sabbath su tutte), rimangono praticamente tre “progetti” cui Hughes sembra veramente abbarbicato. Il primo è rappresentato dai Trapeze, prima band di Glenn (1970-1975), la cui influenza è innegabile nel classic rock di “Lost In The Zone”, “Stoned” e “Secret Life”. Oserei dire che i Trapeze siano la band a cui più di tutte Hughes si dimostra attaccato, vuoi perché il primo amore non si scorda mai, vuoi perché quella era senz’ombra di dubbio la SUA band, vuoi per un pizzico di compassione per non essere mai riuscito a fare il “botto” con essa. Sta di fatto che lo stesso Glenn adora i tre pezzi sopra citati, e sembra anche dare il meglio di sé. Tra parentesi aggiungerei la prestazione maiuscola di Chad Smith alla batteria su “Stoned”.
Il secondo “progetto”, se mi passate il termine, risponde al nome di “Deep Purple”, in cui Glenn milita dal 1974 al 1976, alternandosi tra microfono e basso in funzione di uscite e rientri di un certo Ian Gillan. L’immane fardello dei Purple è inscrollabile, e presenzia austero sui brani più energici del nuovo album di Glenn: fin dalla magniloquenza dell’opener “In My Blood”, il color porpora è vivo e urla la sua voglia di rock servendosi delle corde vocali di Hughes, immortalato nel suo inconfondibile timbro. Sembra di stare a sentire il Glenn Hughes che trent’anni fa lasciava tutti a bocca aperta intonando “Burn”, spazzando via con i suoi acuti ogni mortale che si fregiava inutilmente del titolo di “cantante”… Ed in effetti il desiderio di Hughes è sempre stato quello di partecipare ad un MKIII: lo dimostrano pezzi come “Gasoline” (ideale per un raduno di biker), “Standing On The Rock” (la mia favorita, per il suo impatto tipicamente ottantiano), l’happy rock di “The Truth”, e “Wherever You Go”, che conclude l’album in un up-tempo debilitante con un lunghissimo solo, davvero imperdibile, del grande J. J. Marsh.
Tra questi due grossi pilastri della carriera di Glenn, si insinua con prepotenza, a completamento, la parte più personale della musica di “Songs In The Key Of Rock”, quella più vicina alle sperimentazioni dei lavori solisti del leggendario singer. E’ il caso delle vibrazioni offerte da “Higher Places”, o del funky di “Building The Machine”, o ancora dell’epicità di “Written All Over Your Face” e della melodia tutta sessantiana di “Courageous”.
Per chi è innamorato della voce di Glenn, e del suo feeling inconfondibile, questo sarà sicuramente un album dalle mille emozioni, anche se un’attenta analisi non può che dare atto alla verità: è un disco fatto di nostalgia, ma fortunatamente si tratta di quella nostalgia “buona”, dal momento che Glenn non ha nulla da rimpiangere, né alcunché da chiedere ad una carriera stellare.
Tracklist:
1. In My Blood
2. Lost In The Zone
3. Gasoline
4. Higher Places
5. Get You Stoned
6. Written All Over Your Face
7. Standing On The Rock
8. Courageous
9. Secret Life
10. The Truth
11. Wherever You Go