Recensione: Songs To Invade Countries To
Sembra un’esigenza indissolubile e ineludibile, quella di decretare la fine di un genere musicale (e di tutto il mondo che vi ruota attorno) da parte di certe frange della critica. Le stesse, peraltro, che da sempre privilegiano i personaggi al Pentagramma e che preferiscono pubblicare ogni anno le stesse, scontate, classifiche e di tanto in tanto, magari, schiaffare in copertina l’ultimo mostro mediatico disponibile.
Eppure, quando stiamo quasi per convincerci che forse forse il Rock, se non morto, è quantomeno in stato vegetativo, arriva sempre il sussulto, l’album che torna a farci scapocciare e godere come una volta, in barba alle profezie più bigie e nefaste. Ne abbiamo avuto dei validi esempi, quest’anno, e nella quasi totalità dei casi da parte di band giovani e, ahinoi, pressoché sconosciute come Mothership, Captain Crimson e Motherload; tuttavia i britannici Voodoo Six, leggermente più noti in virtù delle apparizioni live in compagnia dei leggendari Iron Maiden, riescono ad andare addirittura oltre.
Il loro è un hard rock tonico e muscolare, con i piedi ben piantati nella tradizione sul versante melodia/struttura canzone quanto decisamente rivolto alla contemporaneità in termini di suoni e soluzioni d’arrangiamento. Se il biondo Luke Purdie, con la sua voce potente e grintosa e la chioma alla Jorn, rappresenta il volto di una band che non lesina sudore ed energia, i due chitarristi (Matt Pearce e Chris Jones), dal canto loro, non si lasciano certo mettere in secondo piano, sfoderando una serie di riff formidabili e di pregevoli assoli. Chiudono la formazione l’ottimo Tony Newton al basso, autore di una prestazione viva e vibrante, e il batterista Joe Lazarus, in possesso di un drumming preciso, vario e dinamico.
Le undici canzoni che compongono “Songs To Invade Countries To” stanno felicemente in bilico tra vecchio e nuovo, coniugando con grande gusto melodie efficacissime a giri di chitarra a presa rapida e lasciando ampio spazio a pregevoli digressioni strumentali agilmente guidate dalla coppia d’asce. “Falling Knives”, aperta dall’eccellente lavoro di basso da parte di Tony Newton e dal primo killer riff di tutto l’album, lascia immediatamente intendere quanto asserito finora, andando a costituire, con la successiva e altrettanto riuscita “All That Glitters”, un ottimo viatico per la terza in scaletta: la portentosa “Lead Me On”. In quattro parole una superba semi-ballata, sorretta da un basso debordante e da un crescendo melodico di quelli che fanno (o dovrebbero fare) storia, fino al delizioso refrain intonato alla grande dal ruvido, ma versatile, Luke Purdie. “Sink Or Swim” non è da meno, pur virando, in termini di guitar work e atmosfere, verso territori cari agli Alter Bridge; cala, invece, (leggermente) la seguente “You Don’t Know”, forse la meno brillante di tutto l’album, pur senza far gridare allo scandalo.
La tripletta composta da “Your Way”, “Sharp Sand” e “Stop” costituisce un ritratto decisamente fedele della grande ecletticità degli inglesi. Tre brani in cui i Voodoo Six inglobano influenze provenienti dal southern e dal country rock (impossibile non veder balzare alla mente i dischi acustici di Zakk Wylde sull’incipt di “Your Way”) oltre che dal funk/hard rock dei compianti Talisman, con Tony Newton sulle tracce del povero Marcel Jacob. Il tutto senza dimenticare assoli di chitarra che fanno propria la lezione di giganti come il già citato Zakk Wylde, Joe Bonamassa e l’ultimo John Norum: caratteristiche somatiche che vanno a costituire, assieme alle vocals di Purdie, il trait d’union tra canzoni all’apparenza piuttosto differenti tra loro.
Dopo tale dispiego di forze ed ispirazione verrebbe da pensare che le sorprese siano finite, tuttavia “Brick Wall” sembra (o forse lo è per davvero) inserita proprio al momento giusto per stupire ancora una volta. Adrenalina allo stato puro, con riff da mandare a memoria e un andamento hard blues scazzato e indolente pronto a esplodere da un momento all’altro, come un ubriaco in attesa della prima provocazione per uscire di testa. Enorme, un pezzo da novanta in cui si sente tutta la cultura musicale dei cinque britannici e, perché no?, l’amore per l’hard blues e per gruppi come Bad Company, Deep Purple, Thunder e Free.
Gli ultimi due sigilli vengono riservati alle robustissime “Waiting In Line” e “Higher Ground”; le più vicine all’alternative metal, in ogni caso mai fuori tema e sempre tenute in piedi da chitarre decisamente esuberanti e da un Luke Purdie che dispensa grinta a tonnellate, graffiando da par suo.
Come avrete di certo intuito, di innovazione non ce n’è molta tra i solchi di “Songs To Invade Countries To” (ma tutto sommato anche di puro revival ce n’è davvero poco). Il vero errore è, in ogni caso, doverla cercare per forza in un disco che vuole semplicemente essere “100% pure fuckin’ rock ‘n’ roll” e che ci riesce dannatamente bene, nonostante una copertina decisamente “grigia” e tutto sommato poco attraente. Il fatto che i Voodoo Six non abbiano, per ora, raggiunto la fama e la notorietà di band più blasonate (e non sempre più meritevoli) non è, ad ogni modo, un buon motivo per continuare ad ignorarli e anche la recente, esplosiva, prestazione al Sonisphere 2013 testimonia in maniera inequivocabile la consistenza di questo act. Passate parola.
Stefano Burini
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