Recensione: Sonic Temple
Dopo la full immersion nel più puro hard rock di matrice settantiana di ‘Electric‘, i The Cult cambiarono di nuovo pelle e decisero, puntando sull’aiuto del mago della consolle Bob Rock e su di un sound fresco, rinnovato e alla moda, di tentare l’assalto alle classifiche americane con ‘Sonic Temple‘.
Missione compiuta: l’album era sicuramente derivativo e l’intera operazione di messa a lucido del suono e del look ebbe fin dall’inizio un sentore più che vago di opportunismo, eppure la classe della band inglese seppe mettere d’accordo più o meno tutti e i risultati in termini di critica e pubblico furono il giusto premio per un lavoro di questa caratura.
La cura negli arrangiamenti è maniacale, i suoni si fanno più limpidi e potenti e si tolgono di dosso quella pur fascinosa patina retrò che permeava ogni solco di ‘Electric‘ in favore di un sound più corposo e levigato che strizzava l’occhio alle superproduzioni dell’epoca (Mr. Big e Skid Row su tutti); la ricerca ossessiva di melodie vincenti e di ritornelli da classifica si percepisce in maniera molto più marcata rispetto al passato, tuttavia il songwriting pare addirittura beneficiarne e la band non rinuncia mai al proprio trademark, da sempre indissolubilmente legato all’ugola roca e sfacciatamente morrisoniana di Ian Astbury e al chitarrismo rovente del sottovalutato Billy Duffy.
Il poker d’assi calato in apertura mette immediatamente nero su bianco gli obiettivi e la direzione stilistica intrapresa, sparando a tutta forza fuori dallo stereo quattro singoli di hard rock melodico da classifica in pieno Cult-style che contribuirono a trascinare l’album fino alla decima posizione di Billboard nel 1989.
“Sun King” e l’elettrizzante “Fire Woman” ammiccano vistosamente alla moda dell’epoca, in virtù di ritmi solari e vivaci, senza tuttavia rinunciare ad un prezioso retrogusto bluesy, mentre più ruffiane ma altrettanto godibili risultano essere le linee melodiche sinuose di “Edie (Ciao Baby)” e di “Sweet Soul Sister”.
“American Horse” va a ripescare un riff possente ed ipnotico che pare provenire dalle sessions di ”Love”: un brano dal flavour cupo ed arcano, giocato su un percussionismo dagli accenti tribali e su cori avvolgenti e di grande effetto, mentre “Soul Asylum”, ennesima, riuscitissima, variazione sul tema della seminale “Kashmir”, riecheggia di reminiscenze zeppeliniane per tutta la propria durata, muovendosi tra ritmiche robustissime e vocals eteree di gran classe ad opera del solito, straordinario Ian Astbury.
In “New York City” e “Automatic Blues” confluisce tutto il bagaglio di influenze settantiane della band, Led Zeppelin e Doors in primis: riffing arrembante alla maniera del miglior Jimmy Page e atmosfere psichedeliche e stranianti suggerite dal chitarrismo noise di Billy Duffy e dalle magniloquenti melodie intonate dal frontman, mentre “Soldier Blue” e le conclusive “Wake Up Time For Freedom” e “Medicine Train” continuano sul percorso tracciato dalle precedenti composizioni, all’insegna di melodie ricercate e di soluzioni strumentali e di arrangiamento di grande qualità.
‘Sonic Temple‘ si merita, dunque, i gradi di classico, lo dicono la musica, la storia le cifre.
I The Cult sono una band che ha cambiato pelle più e più volte nell’arco della propria carriera eppure ciò che non è (quasi) mai venuto meno, è stata la capacità di comporre grandi canzoni che ancora oggi a distanza di decine d’anni emozionano e non perdono un grammo di efficacia, acquistando, anzi, quel valore aggiunto che solo il tempo può regalare ai grandi capolavori.
Line Up:
Ian Astbury – Voce
Billy Duffy – Chitarre
Jamie Stewart – Basso e Tastiere
John Webster – Tastiere
Mickey Curry – Batteria
Tracklist :
01 – Sun King
02 – Fire Woman
03 – American Horse
04 – Edie (Ciao Baby)
05 – Sweet Soul Sister
06 – Soul Asylum
07 – New York City
08 – Automatic Blues
09 – Soldier Blue
10 – Wake Up Time For Freedom
11 – Medicine Train