Recensione: Sons Of Steel
Della serie: se si è veri musicisti metallari in “stand-by” prima o poi “la bestia” si risveglia e si sente un lontano richiamo dal Valhalla dell’HM al quale non si può resistere. Si imbraccia di nuovo la chitarra e le note sgorgano da sole, dopo pochi minuti, anche dopo anni di inattività. Questo, più o meno e un poco romanzato è quanto accaduto a tale Agostino Carpo, un tempo membro effettivo nonché fondatore dei Domine insieme con i fratelli Paoli, Carlo “Funa” Funaioli alla batteria e Stefano Mazzella alla voce. Correva l’anno 1986 e il primo frutto tangibile dalla band fu il demo omonimo. Seguirono Champion Eternal (1989) e Bearer Of The Sword (1991), poi le strade fra il Nostro e la band si divisero e del buon Agostino non si seppe più nulla, al di là degli addetti ai lavori gravitanti nell’area di Piombino.
Il ritorno ufficiale sulle scene avviene all’incirca cinque anni fa, poi un demo nel 2009 e il “botto” definitivo quest’anno, sotto forma di full length di otto tracce per l’onorevole My Graveyard Productions, etichetta sempre attenta al movimento heavy metal italiano dai suoni ortodossi. L’album si intitola Sons Of Steel, tanto per sgombrare la mente da eventuali dubbi e si presenta con una copertina molto azzeccata oltre che ironica, un booklet di dodici pagine con tutti i testi e una formazione che annovera, oltre all’ex Domine, Mirko Miliani (voce), Matteo Lupi (basso) e Leonardo Freschi (batteria).
Il disco si apre con My Name Is No One, brano che denota fin dall’inizio l’impostazione vocale di stampo volutamente epico di Mirko Miliani, che ben si destreggia all’interno di trame metalliche classiche che più classiche non si può. Pregevole l’interpretazione in crescendo del singer, ad accompagnare nota per nota il testo. L’incipit di Sons Of Steel farà sfracelli dal vivo, come confermato dall’urlo finale, a suggellarne il climax. Magic Man, la traccia numero due, manca dell’attacco frontale del brano precedente e stenta a decollare fino a che il suono di una campana sancisce l’inizio di Son Of Steel – al singolare, senza “S” -, episodio scandito da un riff martellante da headbanging assicurato. Una grande sezione ritmica sorregge il cantato di Miliani, a pieno agio con un trattato eroico di cotanta portata, interrotto da una porzione celestiale dopo il terzo minuto per poi riprendere con vigore fino alla fine. Son Of Steel: se NON il brano-simbolo dei Darking poco ci manca. Come tutti i dischi di HM trasognanti non si può privare il lato soft della proposta, prontamente fornito dai toscani con le prime battute di The Eye Of God, traccia che si sviluppa poi su di un impianto galoppante dall’incedere imperioso.
Promise Of Evil è il manifesto “made in Darking” della lezione teutonica fornita dai grandi Running Wild: piede a fondo sull’acceleratore e HM a manetta fino al 90°, senza macchia né paura. Matteo Lupi e il suo basso danno il via a Lady of Sand, episodio interessantissimo perché nettamente fuori dal coro, impostato sulle schitarrate di Agostino Carpo che dettano i tempi di intervento del singer che dà, nella fattispecie, il meglio di sé. Se un pezzo del genere fosse stato scritto dagli Iron Maiden mezzo mondo sarebbe lì a decantarne le lodi per mesi e mesi. Lady Of Sand, a giudizio di chi scrive, costituisce l’highlight assoluto di Sons Of Steel, senza dubbio alcuno, ma soprattutto rappresenta la prima pietra dalla quale costruire i Darking del futuro.
Ritorno al canonico con la veloce e Maideniana Face Of Fear poi chiusura disco affidata a Sign of The Cross, che richiama i Black Sabbath non solamente per il titolo ma anche per la configurazione possente. Carino il riffing a la Megadeth – Symphony Of Destruction – da metà brano in poi e da menzionare l’interpretazione calda di Mirko Miliani sul finire.
Sons Of Steel è un poderoso debutto, senza dubbio, ma lascia presagire un qualcosa di più strutturato per il futuro dei Nostri, che hanno tutte le potenzialità per distaccarsi dai cliché dell’heavy metal classico si stampo epico sviluppando un percorso più personale, pur restando nell’ambito. Il cantato può ulteriormente migliorarsi, così come il songwriting. Non ultimo, poi, una produzione ficcante potrebbe sancire il definitivo salto di qualità del combo di Piombino.
In alto le spade, comunque: il vecchio e sempre più disastrato stivale, per quanto riguarda le uscite classicamente HM è sempre vivo e vegeto e i Darking sono lì a dimostrarlo.
Stefano “Steven Rich” Ricetti
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Tracklist:
01. My Name Is No One
02. Magic Man
03. Son of Steel
04. The Eye of God
05. Promise of Evil
06. Lady of Sand
07. Face of Fear
08. Sign of The Cross
Line-up:
Mirko Miliani: Voce
Agostino Carpo: Chitarra
Matteo Lupi: Basso
Leonardo Freschi: Batteria