Recensione: Sons of The System
Mnemic: ovvero, per me, una delle band più enigmatiche del recente passato. Partiti come una delle più fulgide promesse del metal moderno europeo, con un suono aggressivo e meccanico che andava a condire partiture contorte ed interessanti, album dopo album sono andati deludendo sempre più le aspettative di chi si era lasciato tanto stupire inizialmente da quello che sembrava l’inizio di un’evoluzione creativa.
L’evoluzione in realtà c’è stata ma starà all’ascoltatore di turno giudicarne la bontà o meno. Ennesima tappa di questo percorso è Sons of The System: quarto album dei danesi, i quali hanno impiegato ben tre anni per metterlo alla luce, e per dargli quel taglio “modern metal” che cercavano, anche grazie all’aiuto dell’amico produttore Tue Madsen, ritornato a lavorare con loro dopo sei anni.
Dopo un lungo periodo trascorso sui palchi di tutto il mondo, affiancando anche band di spessore elevatissimo (vedi Metallica), ecco dunque giunto il momento di rilanciare il proprio nome con forza sul mercato per raccogliere il frutto di quanto seminato.
Iniziamo col dire che la musica di Sons of The System non si distacca molto, come stile, da quella presente sul precedente lavoro Passenger: qualche brandello residuo di thrash metal lievemente sincopato, con inserti industrial e ritornelli melodici che spezzano le parti caratterizzate da una voce più acida e aggressiva, peculiarità, quest’ultima, iniettata prepotentemente nello Mnemic style dal singer Guillaume Bideau, ex Scarve, entrato in formazione proprio prima della pubblicazione di Passenger. E’ forse proprio l’indicatore della melodia a segnare l’unica vera progressione. La melodia, infatti, è definitivamente la vera protagonista del sound attuale degli Mnemic, una melodia che crea atmosfere sognanti e ruffiane; ritornelli realizzati apposta per essere cantati dalle grandi arene, quasi in omaggio al pubblico americano, così avvezzo a queste cose, e che tanto li ha apprezzati in grandi happening come l’Ozzfest; partiture da colonna sonora hollywoodiana che si candidano al prossimo riadattamento Marvel cinematografico.
A prescindere da queste considerazioni, il disco in questione resta un prodotto di tutto rispetto sotto l’aspetto della qualità di fondo. I cinque hanno scelto la loro strada e da allora la seguono con abnegazione ed il lavoro compiuto anche questa volta si sente eccome!
L’inizio è tremendo. L’opener Sons of The System parte con un’intro stile Megadeth che sembra presagire a chissà quale massacro in salsa thrash metal; in realtà non si fa male nessuno, anche se il brano risulterà comunque uno dei migliori e rappresentativi su disco: veloci riff che si intrecciano, accordatura rigorosamente verso il basso, suoni da acciaieria e un ritornello, un po’ debole in verità, ma è anche il segno della vocina di Bideau, laccata come non mai.
Il primo singolo estratto Diesel Uterus si presenta con chitarre a la Fear Factory ed alcuni echi di Meshuggah dopo abbondanti sedativi da elefanti, ed in effetti essa rappresenta appieno il metodo compositivo utilizzato nell’album: si tratta infatti di una traccia molto potente, dai suoni veramente carichi, capaci di inondare i padiglioni auricolari dell’ascoltatore, con variazioni frequenti di registro e urla di rabbia represse che però trovano poi sfogo in climax tipo Linkin Park, come si può ben cogliere nella ritmata Mnightmare; un andazzo che spesso risulta inappagante per chi gode della indubbia bravura di questi musicisti, una bravura che sembra sempre troppo legata a degli schemi troppo precisi e legati a qualcosa d’altro.
In fondo, i danesi, in una cosa si sono veramente specializzati e sono diventati dei maestri in questi anni, ed è l’arte di comporre delle ottime canzoni, e difatti, se siete dei profani e volete farvi un’idea veloce di questi Mnemic, ascoltate senza indugio i brani The Erasing e March of The Tripods: gli highlights di Sons of The System, a mio parere, sono due piccoli gioielli del genere, dove vengono esaltate alla grande sia la parte vocale, con dei chorus davvero magnifici, coinvolgenti, e finalmente melodicamente potenti, che le tastiere atmosferiche del mastermind Mircea Gabriel Eftemie che tessono eleganti tappeti sonori. Di entrambe vanno citate i pregnanti effetti sonori nei secondi iniziali, perfetta apertura per due potenziali altri singoli, March of The Tripods in particolare, che non mancherà di fare innamorare tanti adolescenti d’oltreoceano, con i suoi cori e controcanti.
L’ascolto del disco diventa, purtroppo, meno interessante con lo scorrere delle tracce, perchè gli schemi di cui parlavo si ripetono un po’ troppo spesso e dunque, nonostante l’innegabile preparazione tecnica dei musicisti in gioco, una volta appurato il concetto, “repetita non juvant”, anzi….sicuramente annoia. Di certo molti di questi brani faranno alzare il pugno dal vivo, ma nello stereo di casa ci vuole ben altro che una pappa pluri-riscaldata fatta di un continuo ciclico alternarsi di brutalità e dolcezza.
Quello che mi rimane onestamente alla fine dell’ascolto di questo Sons of The System è un rammarico: quello di dover assistere, purtroppo, alla ennesima mortificazione delle capacità di un quintetto che, orientato irrimediabilmente verso una serie di cliché modaioli, palesemente alla ricerca di un pubblico il più ampio possibile, sta prendendo una direzione che rischia di farli rimanere invischiati troppo presto nel calderone di centinaia di altre band clone di cui è satura la scena odierna e, una volta là in mezzo, poi potrebbe essere dura uscirne avendo ancora dalla propria un pubblico ben definito.
Francesco ‘Darkshine’ Sorricaro
Tracklist
01. Sons Of The System 05:35
02. Diesel Uterus 04:31
03. Mnightmare 04:34
04. The Erasing 04:07
05. Climbing Towards Stars 04:41
06. March Of The Tripods 06:37
07. Fate 03:35
08. Hero In 05:15
09. Elongated Sporadic Bursts 03:51
10. Within 04:45
11. Orbiting 04:42
Durata totale 52:28
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