Recensione: Soul Demise
Nuovo, primo album ufficiale per i connazionali Maze of Sothoth, quale onore avere in casa una band di tale calibro tecnico e stilistico che segna in maniera inequivocabile già a gennaio uno dei pretendenti al titolo del disco brutal death del 2017. No signori, non siamo qua a fare la permanente ai caimani, qui non stiamo scherzando, ogni amante che si rispetti del death moderno può e deve ascoltare “Soul Demise” quale ipotetico album perfetto, un breve compendio di come oggi al di fuori delle mode del momento si possa suonare death e/o brutal death con tecnica, spontaneità e sopra ogni cosa crediblità. Ancora più in sintesi questo è un buy or die per ogni fan del suono più ostico e oltranzista. “Sono stato spiegato?”
Già la prima release ufficiale, targata oramai cinque anni orsono, ci aveva lasciato con un buon istinto omicida intriso di salsa death, ora abbiamo la conferma definitiva che la farfalla ha messo le ali e siamo qui a sottolineare indiscutibilmente come in pochi nel panorama hanno lo stesso istinto e dedizione di questi ragazzi. Andando al nocciolo della questione cosa troviamo sul piatto del condannato, oltre che le belle parole del sottoscritto? Otto tracce, dieci considerando le due strumentali, dove la band mostra tutto il suo ottimo status di salute attraverso una serie di riff e strutture compositive che spaziano dai grandi maestri del passato e oltre; nomi altrisonanti quali Morbid Angel dei tempi antichi, in parte gli Origin più recenti e qualche velatura dei Nile che furono si mescolano toccando anche i più grezzi Vomitory. La sensazione di avere di fronte la perfetta combinazione tra eleganza e brutalità è predominante, come a lasciare andare l’essenza primordiale del death metal più viscerale e tecnico, con lo spirito di un bimbo che con i suoi occhi vede per la prima volta la neve; senza parole. Tramortito ed entusiasta ci si butta a capofitto, senza capirne nulla nei primi minuti ma con la sensazione che qualche virus sta nascendo dentro, in profondità. Una malattia che porta “Soul Demise” a divorarti dall’interno e fare del tuo corpo un mero strumento per distruggere altri dischi che vorresti ascoltare con piacere, ma non puoi, fossilizzato e in decubito muori in un vortice senza fiato in un back to back asfisiante (storia vera NdR). Entrando ancora di più in profondità si può notare come a dispetto delle apparenze dei primi minuti, la dinamicità alla base del disco è la chiave di lettura migliore per comprendere ogni meccanismo remoto, aprendo il lucchetto del mondo Lovecraft-iano nei brani, una chiave d’acesso ai meandri dei brani. La partenza al rasoio grazie ad una splendida ‘Lies’ mette subito le carte in regola, dello stesso stampo sia ‘The Outsider’ che ‘Blind’ non fanno prigionieri, andando a creare un labirinto di visioni e intenti pronti a disturbare i disturbati. Musica per le masse informi e in fin di vita, questa è la via di fuga prima di cadere ansimanti a terra, quanta bellezza in questa brutalità, la pace dei sensi. Non solo brutalità dicevamo infatti il groove emerge altrettanto prepotentemente attraverso composizioni cristalline come ‘Multiple Eyes’ e ‘The Dark Passenger’; proprio quest’ultima spinge l’accelleratore verso lidi tipicamente doom, collegando magistralmente la successiva ‘At The Mountain of Madness’ quale alter ego delle canzoni più intransigenti e ferali. Unendo i puntini si comprende benissimo come la dicotomia intrinseca sia la base che tiene vivo l’animo dell’intero album; bianco e nero, luce e ombra nascono e muoiono dentro le sfumature delle canzoni, una combinazione multiforme spregiudicata e senza filler che convince senza annoiare. Ottima la produzione, anche se leggermente troppo “delicata”, qualificabile come professionale al 100% a dispetto del demo targato 2011; ottima anche prestazione dei ragazzi, cintarne uno andrebbe a discapito degli altri per cui come nel calcio confermiamo come è la squadra che vince non il singolo, chapeau!
Chiudendo il sipario dunque possiamo confermare come tutto fila alla perfezione, onestamente non riesco a trovare molti difetti attraverso le decine e decine di ascolti sino ad oggi. Un breve e non scontato compendio di tutto ciò che di bello e fortunatamente brutto ha il death e/o brutal death del nuovo secolo. I Maze of Sothoth hanno creato ciò che ogni appasionato del death metal stava aspettando, quel disco che non puoi non amare perché è la conferma che il metal non è morto; grazie a band come questa, gente con il carattere dei vincitori, se continuiamo così noi Italiani possiamo ricordare e insegnare come suonare al mondo intero.