Recensione: Soul to Soul
Capita sempre più spesso che progetti preconfezionati, costruiti a tavolino e spontanei come le dichiarazioni post partita di un calciatore, si rivelino – come da programma – materia scontata e banale.
Negli ultimi tempi ne abbiamo incontrati molti, in numero crescente. Ingombranti e tronfi monumenti alla pomposità ed alla rincorsa dello stereotipo ingabbiato in schemi che non esulano mai da un piano rigido e sempre uguale a se stesso.
Qualche volta, casi rari, succede d’imbattersi (per fortuna) pure in qualche eccezione brillante. Un side project che sa tanto di plastificato ma che, vuoi per la classe di chi ci lavora, vuoi per qualche sinergia strana che si viene a creare tra songwriting ispirato ed interpreti di alto livello, si affranca dalla massa di formazioni posticce che impazzano e congestionano le scene.
Le quali, detto tra parentesi, stanno diventando sovraccariche e soffocate da tante, troppe, proposte paragonabili a fazzoletti di carta. Usa e getta.
Non accade molto spesso, purtroppo.
Ecco, un esempio lo abbiamo proprio qui davanti. Groundbreaker: un side project dal nome focoso e follemente fuorviante che, al secondo capitolo discografico, fa dimenticare del tutto la sua “costruzione in laboratorio”, rivelando un’anima credibile e di sostanza, fatta di musica solida e valori importanti.
Per chi non li avesse frequentati in occasione dell’esordio del 2018, a dispetto del nome stentoreo, nulla a che vedere con heavy, power o qualsivoglia materia “estrema”. Solo morbidissimo, ultra melodico e super accogliente AOR.
Di quello vellutato, dai contorni lucidi ed ammalianti, smussati da soluzioni che privilegiano l’eleganza, lo stile fascinoso e le atmosfere notturne.
Soprattutto musica di qualità: una qualità che si esprime a tutto tondo nella scelta di un interprete maiuscolo e straordinariamente espressivo quale è Steve Overland, un maestro incomparabile che da eoni che si perdono nella notte dei tempi insegna a chiunque cosa voglia dire cantare il rock melodico con cuore, passione, e trasporto.
Non lo scopriamo oggi del resto: quando un frontman ha dalla sua una carriera a cavallo di una pietra miliare del genere come gli FM, sono poche le cose da dire. I superlativi, infatti, anche stavolta si sprecano: Overland ha uno strumento divino nelle corde vocali ed i “colori” che derivano dalla sfumature della sua voce magnificano qualsiasi composizione su cui va a poggiarsi.
Se poi anche il songwriting è di buon livello, l’alchimia si conferma piuttosto vincente.
Di più, non allerta dubbi sulla bontà del risultato e si profila come pienamente riuscita.
Il solito Alessandro del Vecchio, maestro ormai ultra consolidato nelle molteplici vesti di produttore, songwriter e musicista, garantisce pennellate d’autore nella composizione di brani che si attagliano su misura all’interpretazione di Overland, creando una “chimica” che funziona molto bene e garantisce soddisfazioni.
Verrebbe da paragonare i Groundbreaker – complice il marchio vocale – forse proprio agli FM. Tuttavia la similitudine che più si avvicina alla miscela elaborata è quella che si percepisce con Work of Art, Street Talk ed in generale, con il microcosmo melodico tipico dello scandi-AOR.
Non a caso Robert Sall proprio dei W.o.A. è stato motore del primo album, mentre Sven Larsson (ex Street Talk) ed Herman Furin (ancora Work of Art) hanno un ruolo importante in questo “Soul to Soul“.
Pezzi tutti più o meno godibili con pochi cali di tensione e giusto un paio di filler. Nel consolidato gioco delle “nominations“, quelli che ci sono piaciuti di più sono senz’altro l’iniziale “Standing on the Edge”, la cromatissima “Evermore” e le eleganti “Fighting for Love” e “Til the End of Time“. Canzoni incisive già di loro, che assumono contorni superiori grazie alla splendida ugola di Overland.
Cinquanta minuti che scorrono ed offrono la piacevole sensazione di un qualcosa di realizzato con cura, partendo dalle idee alla base dei brani per finire ad una produzione definita e “rotonda”.
Il patto è, in buona sostanza, quello di amare (molto) l’AOR.
Un condizione essenziale che, una volta assodata, condurrà probabilmente il nuovo album dei Groundbreaker tra gli apici assoluti del genere per il 2021.