Recensione: Souldance
Il 2017 si sta dimostrando fertile in fatto di metal opera e affini, e bisogna prestare attenzione a quanto si muove nel sottobosco culturale del power metal. Spostando i riflettori verso il Sud America, infatti, si possono trovare band di valore che amano alla follia la tradizione power degli Helloween e affini, abbondando di doppia cassa e voci squillanti, e che finiscono col lanciare sul mercato prodotti coraggiosi e meritevoli di attenzione. È il caso dei peruviani Ancestral Dawn, nati nel 2013, e che marcano il loro debutto con quello che è senz’altro il disco più ambizioso e imponente mai uscito dalla loro terra natia.
Souldance è stato concepito come una metal opera e come tale necessitava per prima cosa di un cast all’altezza, internazionale, che suscitasse interesse e fosse pertinente con il genere proposto. Dunque l’elenco dei vocalist chiamati a interpretare i vari personaggi del concept è notevole, e vanta tra gli altri nomi del calibro di Fabio Lione (ex-Rhapsody, Angra), Ralph Scheepers (Primal Fear) certamente non nuovi a progetti del genere, ma anche Rick Altzi (Masterplan), Jonas Heidgert (Dragonland), Amanda Somerville (Avantasia), Mark Boals (ex-Malmsteen) oltre al contributo di Roland Grapow (Masterplan, ex-Helloween). Dunque già questo risulta un motivo di interesse, ma va anche detto che i ragazzi peruviani suonano davvero bene, a cominciare dal vocalist Jorge Segersbol, un ottimo emulo Kiskeniano. Abbiamo poi i begli assoli tecnici di Josue Castro, e la sezione ritmica martellante del duo Jorge Higginson (ideatore del progetto) al basso e Devadip Chunga alla batteria, tutti cresciuti a pane e Helloween-Stratovarius, con ovvi riferimenti ai maestri sudamericani del power Angra. Questo porta a una proposta musicale certamente derivativa, ma ben costruita e avvincente.
La storia del concept narra di Bastian, uno studente di medicina che cerca di salvare la fidanzata caduta in un sonno eterno vittima di una antica forza mistica, e per farlo dovrà confrontarsi con se stesso oltre che con le divinità peruviane. C’è quindi molto della tradizione locale, che si riflette anche in sede musicale grazie all’utilizzo di strumenti atipici come il flauto e a ritmiche tribali.
Dopo la classica intro atmosferica in salsa Perù, tanto che ci sentiamo trascinati sulle montagne di Lima, parte “The Traveller” dove brilla subito l’astro di Fabio Lione nei panni dello shamano Sairj Tupaj in un’ottima alternanza con la voce squillante e potente di Segersbol, in un pezzo tirato che calzerebbe bene ai primi Rhapsody, con un bel ritornello e inserti di tastiera a punteggiare le evoluzioni della sei corde. Segue “Enter The Shaman“, un roccioso mid tempo dove entra in scena la voce stentorea e ruggente di Rick Altzi, troppe volte considerato alla stregua di un wannabe Jorn Lande, ma che andrebbe valutato per quel che è: un grande vocalist e basta. La sua prestazione è poderosa e si sposa bene con le tonalità alte di Segersbol, che qui si fa un po’ Falaschi un po’ Kotipelto. Ottimo l’intermezzo pianistico che fa da preambolo all’assolo di Castro davvero virtuoso e scintillante, mentre il refrain epico funziona e convince.
“Rise Of The Ancestor” riparte a grande velocità con un altro pezzo speed dalla doppia cassa martellante e la sei corde in fiamme, con un break centrale d’atmosfera fatto di flauti, pianoforte e un breve recitato. Ancora Altzi sugli scudi insieme a Jorge Segersbol (che tira degli acuti non da poco) e l’ingresso sul finale di Jonas Heidgert ad aumentare il livello di epicità e tonalità svettanti.
Un breve strumental-tropicale dalle atmosfere sciamaniche, e veniamo trascinati nel vortice di “Leading To Nowhere” dalla struttura più prog-power e caratterizzata dal growl maligno di… Natalie Markoch, una donna! La sua parte nel ruolo della Mistress of Illusion è svolta egregiamente, infilandosi tra gli squilli epici di Lione, che si fa anche narrativo come lui sa fare, e Segersbol. Una traccia più complessa, dunque, ma ben costruita grazie anche a duelli pregevoli tra chitarra e tastiera.
La titletrack è un altro classico numero power animato da Mark Boals e dal guitar work di Roland Grapow. Anche qui nulla di nuovo, l’etimologia è quella, non ci si sposta troppo, il ritornello è molto orientato verso gli Angra e tale sentore viene confermato dal break strumentale con assolo di flauto su tappeto ritmico brazileiro. Abbiamo anche la ballad di turno, immancabile, e non ci stupiamo che Amanda Somerville sia stata impiegata proprio per questa traccia; “Whispers In The Grey” calza a pennello per la voce della bionda amica di Sammet e Kiske, e di fatto troviamo un buon pezzo per piano e duetto, condito da sinfonie dolci e fatate e dall’immancabile flauto.
“Stormhaze” riaccelera e offre l’ennesima prova devastante del titano Ralph Scheepers, qualcosa di mostruoso quando si tratta di sparare bordate metal e acuti al vetriolo. La “sirena” Jorge Segersbol regge bene anche questo confronto (per quanto la voce di Scheepers sia molto più caratteristica) e i due volteggiano imperiosi inneggiando un ritornello che fa presa. Il pezzo è davvero potente, con tutta la band a metterci una dose di cattiveria ed energia notevole. Chiude l’avventura “The Eyes Of The Universe” con buona parte del cast presente per la parata finale, ma a questo punto tutto è già stato detto e non ci sono ulteriori scossoni.
Souldance non presenta filler di sorta, la durata media permette di goderselo senza intoppi, e le atmosfere evocate dagli Ancestral Dawn catturano l’attenzione, in virtù di una prova con i fiocchi, un songwriting di livello, un vocalist che può dire la sua nella scena (anche se troppo simile ai vari Falaschi, Tribuzy, Bianchi, e compagnia metal sudamericana). La produzione è al passo con i tempi e come detto i ragazzi agli strumenti ci sanno fare. Power metal fino al midollo, derivativo, si trovano note e passaggi che riportano alla mente questo e quel gruppo più famoso, ma sono peccati di gioventù accettabili finché la proposta è di livello alto come in questa sede.
Gli ospiti si sono prestati dando tutti il loro meglio, e le prove dei singoli innalzano il risultato generale che fa di Souldance un disco da avere per tutti gli appassionati del genere.