Recensione: Soulreaver

Di Alberto Fittarelli - 21 Giugno 2003 - 0:00
Soulreaver
Band: Mucupurulent
Etichetta:
Genere:
Anno: 2003
Nazione:
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70

A volte la storia ha corsi e ricorsi, e questo capita anche nel piccolo del mondo metal, dove stili già emersi in passato sembrano sparire per qualche tempo per poi riemergere sotto altre spoglie o tramite modifiche appena percettibili: ed i tedeschi Mucupurulent, al di là di un quasi esilarante monicker splatter, rappresentano in pieno ciò che ho appena descritto.

Ma non pensate che stia parlando dell’ennesimo gruppo grind/gore, pronto a dimostrare al mondo il proprio goliardico amore per la patologia forense: fareste lo stesso errore commesso da me ad un primo sguardo, quando il logo incomprensibile e certe reminescenze della loro fama mi avevano portato a pensare di avere in mano una band che facesse dell’estremismo sonoro la sua bandiera. E probabilmente così è stato nel passato di questo act, che ha poi però deciso di evolversi e posizionarsi sulla scia di quelle band che hanno coniato, negli anni, il termine “death’n’roll”; sto parlando di quel filone indubbiamente creato in un primo momento dagli Entombed di “Wolverine Blues” e proseguito poi per raggiungere il proprio apice, probabilmente, nei Gorefest del sottovalutatissimo “Chapter 13”: un miscuglio azzardato ma ben riuscito di Motörhead, AC/DC e death metal nel più classico stile europeo.
Per la precisione la bio fornita dalla Morbid Records parla di “grind’n’roll”, ma la sostanza non cambia di certo se consideriamo le singole canzoni: partendo infatti dall’opener Again ci troviamo di fronte ad un suono generalmente pesante, pieno, distorto all’inverosimile ed in sostanza davvero ‘marcio’; il tutto realizzato negli studi personali della band, che ha potuto quindi sperimentare tranquillamente e creare un sound abbastanza indipendente. E la canzone in sè non è davvero niente male! Un sound, come già detto, sporcato da delle chitarre cupissime ed impastate al punto giusto, una voce in pieno stile gore a sovrastare il tutto ed a seguire il chorus, che ci porta dritti al caratteristico groove di questo modo di suonare e comporre.

E l’intero disco si snoda su coordinate di puro divertimento, quasi che il feeling tipico del rock’n’roll si fosse trasferito nello spirito di questi ex-grinders germanici, con il risultato di dare vita ad un suono ormai poco originale, ma comunque davvero sentito e coinvolgente, anche se con vari alti e bassi; anche Pain Lasts Forever, la title-track e la conclusiva Drive Me Dead sono degli esempi di grande disimpegno, musica divertente per extreme metallers dall’anima rockeggiante. La band si permette addirittura qualche timida sperimentazione, per altro ben riuscita, con la bella The Return of the Squad, introdotta da una batteria probabilmente integrata da un sequencer e caratterizzata da un sample di fondo dal tono apocalittico: riffs cadenzati, voce ancora più catacombale, insomma un ottimo episodio; a cui però fanno da contraltare momenti decisamente meno azzeccati, come la seguente Vermin, Nightcrawler o la quinta Back to the Bones, decisamente banalotte e noiose.

Insomma, stiamo parlando di musicisti che fanno dell’headbanging una filosofia e del feeling “live” una vera e propria bandiera: non aspettatevi tematiche impegnate, tecnicismi strumentali o chissà quale volo pindarico, dal punto di vista musicale come lirico. Se dal metal estremo cercate qualcosa di più profondo andate tranquillamente oltre, ma se volete anche il puro e semplice svago, qualcosa con una buona carica, allora fate pure vostro questo Soulreaver e divertitevi!

Alberto ‘Hellbound’ Fittarelli

Tracklist:

1. Again
2. Pain Lasts Forever
3. Spine of Madness
4. Back to the Bones
5. Unbreakable
6. Soul Reaver
7. Nightcrawler
8. The return of the squad
9. Vermin
10.Like Gasoline
11.Drive me dead

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